Contributi sul RISPETTO

 

Grazie, Laura del paragrafo sul rispetto.  Sono completamente d'accordo con ciò che scrivi.  Il rispetto per sé e per gli altri è una virtù cristiana nonché civile.


Michela M., 17 marzo 2014

 

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A quanto magistralmente hanno già scritto Laura e Antonella non ci sarebbe molto da aggiungere ma lo Spirito ha sempre qualcosa da offrire.

Ecco dunque cosa io intendo per “Rispetto”.

“Il rispetto nasce dalla conoscenza, e la conoscenza richiede impegno, investimento, sforzo”, afferma  Tiziano Terzani e “Il rispetto s'inspira e non si comanda”, dice Arturo Graf nel suo  Ecce Homo

Dagli scritti di Maria Valtorta trascrivo quanto mi è parso interessante in merito al rispetto:

“Nulla è stato fatto senza scopo nell’Universo. Dio non sciupa la sua perfetta Potenza in cose inutili. Gli animali, le piante, i minerali, gli elementi, superano l’uomo nell’ubbidire, seguendo, passivamente, le leggi creative, o attivamente seguendo l’istinto inculcato dal Creatore, o arrendendosi all’addomesticazione allo scopo per il quale sono stati creati. L’uomo che dovrebbe essere la perla del Creato, troppo sovente è la bruttura del Creato. Dovrebbe essere la nota più rispondente al coro dei celesti nel  lodare Iddio e troppo sovente è la nota discorde che impreca o bestemmia o si ribella o dedica il suo canto a lodare le creature anziché il Creatore. L’idolatria perciò. La sozzura perciò e questo è peccato”.
Da quanto detto sulla mancanza di rispetto verso Dio il passo è breve, ma: “La povertà di spirito consiste nell’avere quella libertà sovrana da tutte le cose che sono (o dovrebbero essere) la delizia dell’uomo. Il povero di spirito non ha più schiavitù di ricchezze”.  

Da ciò il dono del Timore di Dio o riverenza, rispetto.

“L’unica cosa che vanità non sia, è il santo Timore di Dio e l’obbedienza ai suoi comandi, ossia la sapienza dell’uomo. 
Il timore di Dio preserva dalle colpe, dà vista sicura allo spirito dell’uomo e lo spirito che “vede” non può non credere in Dio e nelle sue Parole e così salvarsi da morte spirituale.
Il timore precede sempre l’amore è, dirò così, l’incubazione dell’amore, è la metamorfosi del sentimento in un grado più alto. Il timore è ancora dell’uomo, l’amore è già dello spirito. L’uomo che teme Dio è innegabilmente su via buona se il suo timore di Dio è giusto, ossia non è ignorante e sragionevole paura di Dio, ma è sempre via battuta da chi non ha sprigionato ancora le ali per volare ad una conoscenza più alta di ciò che è Dio, ossia: Misericordia e Amore. L’uomo che teme si sente ancora il “castigato” per la colpa antica e per le sue attuali. L’uomo che ama si sente il “perdonato” per i meriti di Cristo e rivestito di essi, tanto che il Padre lo vede non più come suddito, ma come figlio. Buono il timore per tenere morso e redini alla materia, ma ottimo l’amore per mettere calore di santità nello spirito. 
Cos’è il timore di Dio? Paura di Lui quasi fosse un giustiziere inesorabile che si compiace di punire, un inquisitore che non lascia di notare le più piccole imperfezioni per mandare alle torture eterne? No, Dio è carità e di Lui non si deve avere paura. Bene il suo occhio divino vede tutte le azioni, anche le minime degli uomini. Bene, la sua giustizia è perfetta, ma proprio perché è tale, Egli sa valutare la buona volontà degli uomini e le circostanze nelle quali l’uomo si trova, quelle circostanze che sono sovente altrettante tentazioni a peccare di superbia e perciò di disubbidienza, ira, avarizia, gola, lussuria, invidia, accidia. Timore di Dio non è terrore di Dio. Questo ricordino i malati di scrupoli, i quali offendono Dio nel suo amore e paralizzano se stessi in un perpetuo tremore. Ricordino che un’azione non buona diventa più o meno peccato a seconda che uno è convinto che è peccato, o è incerto che lo sia, o non crede affatto che lo sia.
Timore non è terrore, però anche timore di Dio non è quietismo. I contrari degli scrupolosi sono i quietisti; sono quelli che per un eccesso di fiducia, ma fiducia disordinata, non si danno premura di fare il bene perché sono sicuri che Dio è così buono da essere sempre contento di tutto e con ogni studio, seduti nella loro staticità sonnolenta, cercano di restarvi, chiudendo la mente alle verità che a loro non piace sapere, ossia a quelle che parlano di castigo, di purgatorio, d’inferno, del dovere di fare penitenza, di lavorare a perfezionarsi.
Infine vi sono i giusti. Essi hanno il dolce, riverenziale timore di Dio; temono di dare dolore a Dio e per questo con tutte le loro forze cercano di fare ogni azione buona e nel miglior  modo possibile. Se cadono in imperfezione o peccato, hanno un ardente pentimento e lo vanno a deporre ai piedi di Dio con un’ardente volontà di riparazione. La colpa involontaria non li paralizza. Sanno che Dio è Padre e li compatisce. Lavano, riparano, riedificano ciò che l’Insidia multipla e assalente proditoriamente ha sporcato, sciupato, abbattuto; fanno ciò col loro amore che invocano sempre più forte dall’Amore divino: “Infondi il tuo amore nel mio cuore”.
Costoro hanno il vero timor di Dio.
Cos’è dunque il vero timor di Dio sempre vivo nel loro spirito? Il timore di Dio è amore, è umiltà, è ubbidienza, è fortezza, è dolcezza, è mitezza, è temperanza, è attività, è purezza, è sapienza, è ascensione. (quindi rispetto oltre ogni dire).
Il vero Modello  del timore perfetto di Dio è dato dal Cristo che amò Dio con un amore che si piegò ilare e volonteroso a ogni desiderio del Padre sino all’ubbidienza di croce.
Anche Maria fu un esempio di timore perfetto.
San Paolo dice: «Possedete il perfetto timore di Dio e voi possederete l’amore perfetto e perciò possederete Dio e sarete da Lui posseduti, in eterno»  (Rm. 22.1.48)”.

L’ultimo capitolo di Giovanni (21,15-17) parla di uno scambio di parole particolarmente toccante fra Pietro e il Cristo risorto. Il Salvatore chiede tre volte: «Simone di Giovanni, m’ami tu?» E ogni volta, quando Pietro assicura il Salvatore del suo amore, Gesù gli dice: «Pasci i miei agnelli… pasci le mie pecorelle».
C’è tanto bisogno nel mondo di oggi di nutrire l’anima e in particolare quella dei nostri bambini e dei nostri giovani con «l’acqua viva» e con il «pane della vita».  Come Pietro, anche noi amiamo il Signore, per questo i genitori, i catechisti, i dirigenti gli insegnanti di oggi, per essere veramente in grado di pascere i Suoi agnelli e di nutrire le Sue pecorelle con la testimonianza e lo Spirito, dobbiamo anche coltivare a casa e ovunque il rispetto reciproco e la riverenza per Dio.
Ma la capacità e la credibilità che abbiamo di manifestare la nostra riverenza per Dio si rafforzano quando mostriamo rispetto l’uno per l’altro. Nella società odierna gli standard di decoro, dignità e cortesia sono attaccati da ogni parte e da ogni forma e dai media in particolare. L’esempio che diamo di rispetto reciproco è importante per i nostri giovani e i bambini perché non guardano solo i media, guardano noi! Siamo l’esempio che dovremmo essere? Il rispetto per gli altri e la riverenza verso Dio sono parenti stretti. Fondano le radici nell’umiltà e nell’amore, perché quando lo Spirito testimonia a ciascuno di noi che Dio è il nostro Padre e che Gesù Cristo è il nostro Salvatore, è questa la rivelazione che invita la vera riverenza nata dall’amore e dal profondo rispetto.
La riverenza quindi è un profondo rispetto unito all’amore, da cui scaturisce l’ammirazione verso Dio.

Osho dice: “Non trattare le persone come mezzi, perché esse sono fini a se stesse. Relazionati a loro con amore e rispetto. Non possederle mai e non esserne posseduto. Non dipendere da loro e non creare persone dipendenti intorno a te. Non creare dipendenza in alcun modo; resta indipendente e lascia che anche gli altri lo siano”.
Se non sbaglio questo è il principio di Dio, e Madre Teresa esorta: “Fa’ in modo che invece che compassione, ti portino rispetto”.

Per concludere, il rispetto non ha il tono assoluto della dignità, perché é un fenomeno intimo, di volizione spontanea. É uno dei gradi del sentire più alti che conosco; per me, rispetto più affetto fanno amore per Dio e per il prossimo.



Pino M., 14 marzo 2014

 

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Stimolata dalla vostra proposta davvero graziosa, di cui vi ringrazio perché ci pone in movimento di ricerca personale e in comunicazione gli uni gli altri, ho fatto una piccola e assai semplice ricerca navigando un po’ nel web. Partendo dalla parola latina da cui scaturisce quella italiana “rispetto”, ho trovato queste annotazioni interessanti: 
dal latino: [respectus], da [respicere] guardare indietro, composto di [re-] indietro e [spicio] guardare.
Il rispetto è il guardarsi indietro. Si procede, ed è avanti che si guarda, tutta avanti è la nostra attenzione. Ma il rispetto è quel momento di dubbio, di ricerca, di riflessione che ci ferma un attimo. Voltandoci, abbandonando un istante la prospettiva della nostra corsa, del nostro volo, ci si apre tutto ciò che sta dietro, ci si presenta tutto ciò che viene lasciato indietro …
" (in http://unaparolaalgiorno.it/significato/R/rispetto).
Mi è sembrato uno spunto bello per la nostra Babele condivisa e ve lo lascio qui come un piccolo fiore. La sua bellezza sta nell’introdurre la pausa nell’affannata corsa, il dubbio nella granitica certezza, l’ascolto che spezza l’affermazione e introduce un dialogo dentro al monologo interiore. Fermarsi per ascoltare voci altre da sé, polifonie di altri e anche quelle che ci portiamo dentro e che spesso mettiamo a tacere. Perché anche da noi stessi a volte non ci ascoltiamo e quindi non ci rispettiamo, non ci guardiamo voltandoci indietro ascoltando le voci del dubbio.
Ho poi ripensato al passo della Prima Lettera di Pietro dove Pietro parla di rendere ragione sì della speranza che è in noi grazie all’adorazione di Cristo nei nostri cuori, ma di un rendere ragione fatto con dolcezza e rispetto:
"E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi,  ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto (greco: fòbou = timore), con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito" (1Pt 3,13-18).
In realtà ho visto che il termine greco non è rispetto, ma timore. E allora sono andata a cercare una definizione del timor di Dio in senso biblico, la più semplice possibile:
Il timore di Dio è l'atteggiamento secondo cui il fedele vive costantemente considerandosi sotto lo sguardo del Signore, preoccupato di piacere più a lui che agli uomini. Dio è quindi giudice delle azioni dell'uomo, ma non come un funzionario che cerca di cogliere qualcuno in fallo, ma come un padre che desidera il vero bene del figlio. Il timore di Dio è quindi l'atteggiamento del figlio che vuole corrispondere all'amore del padre, piuttosto che quello del suddito che non vuole essere colto a trasgredire la legge” (http://it.wikipedia.org/wiki/Timore_di_Dio_(teologia)).
Navigando navigando, riaffiora lo sguardo. Forse addentrandoci in questa Babele, possiamo lavorare proprio sul nostro modo di guardare la realtà, le persone, il creato.
E’ solo un piccolo contributo di ricerca così, da aggiungere a quello bello già offertoci da Laura. Grazie di cuore.



Antonella J., 9 marzo 2014

 

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