Contributi sulla SOLIDARIETÀ

 

Concordo pienamente con Francesco S., che ringrazio per il suo articolo/provocazione…


Ci stiamo abituando ad una solidarietà – per così dire – “televisiva”, fatta di sms da 2 o 5 euro e un po’ di emozioni “forti” di fronte a scene di terremoti e di tsunami…


La solidarietà vera è quella del Samaritano, raccontata nel vangelo di Luca (Lc 10, 25-37)… e su quella, tra l’altro, possiamo ritrovarci insieme, credenti e non, cattolici e laici, donne e uomini di buona volontà… basta avere gli occhi e il cuore aperti, e sollevare – ogni tanto – lo sguardo dallo smartphone…


Roberto, 16 aprile 2014

 

 

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In una società, in una comunità, in un gruppo, la solidarietà è l’asse portante del rapporto e del sentimento di fratellanza e di reciproca disponibilità che lega tutti i componenti come conseguenza del loro riconoscersi in finalità o ideali comuni.

Da dove ci viene il primo e maggiore insegnamento in merito? Dal Maestro per eccellenza, da Gesù che per la salvezza del suo Popolo ha dato la vita. Nella Preghiera, lasciataci quale modello di condivisione e di solidarietà, non ci insegna ad essere una cosa sola col Padre e tra di noi?

Ecco dunque il: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Gesù nella sua vita terrena non ha simpatizzato con i detentori del potere politico, economico e religioso. Spesso lo troviamo in polemica con i Sadducei, i principi del popolo, i dottori della Legge e i Farisei. Ignora il monachesimo degli Esseni e di Qumran e non predica ascetismo di sorta. Vive una vita normale e ama anche stare a tavola. Non ha alimentato alcun movimento di rivolta contro i Romani, ma è venuto a portare nel mondo la rivoluzione dell’amore. Ha preso le difese degli svantaggiati: la gente semplice e ignorante, i poveri, i bambini, le donne, i malati e i peccatori, con grande scandalo dei devoti e degli osservanti della Legge.

A gran voce Gesù ha dichiarato di essere venuto ad annunciare la lieta novella ai poveri. Ad essi la sua prima parola di incoraggiamento, di consolazione, di salvezza, la sua prima beatitudine. Ma, chi sono i poveri? A chi si rivolge la prima beatitudine? Per S. Matteo i poveri in spirito sono i poveri in senso religioso, sono i poveri di YHWH, cioè gli umili, che confidano unicamente in Dio. Ma per san Luca (Lc 6,20 ss) si tratta dei poveri in senso sociale, della gente veramente povera.

Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati… (Lc 6,20-21).

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame… (Lc 6, 24-25).

C’è quindi una povertà da combattere e da eliminare, ed è propriamente parlando della miseria, della condizione sociale in cui l’uomo manca del necessario, di quello che gli serve  per soddisfare le esigenze primarie della vita: mangiare, bere, vestire, avere un ricovero per la notte, l’accesso alle cure per la salute e all’istruzione, ecc. che ci deve spingere a muovere il cuore e la mente verso la solidarietà, verso l’Amore.

Dovendo seguire gli insegnamenti di Gesù dobbiamo ammettere che c’è una povertà da abbracciare come stile di vita dei cristiani: una vita sobria, lontana dall’ingordigia, dal voler raggiungere quelli che stanno meglio di noi, che seguono la moda, il consumismo, lo status simbol, ecc.; una vita, quindi, caratterizzata dalla fiducia in Dio, Padre buono e provvidente, che se provvede a sfamare gli uccelli del cielo, non farà certo mancare del necessario i suoi figli (Lc 12,22-31). Tutto questo non per favorire la passività e l’inattività, ma per mettere un freno al nostro desiderio insaziabile di possedere e credere di valere nella misura in cui si possiede, mentre di fronte a Dio e agli uomini noi contiamo per quello che siamo.

È San Paolo il principale assertore della Comunità cristiana come Corpo di Cristo. I cristiani sono membra di questo Corpo, di cui Cristo è il Capo, e si devono aiutare gli uni gli altri. I carismi di ciascuno devono essere messi al servizio di tutti (1 Cor 12,12 ss).  L’Eucaristia, per essere autentica, deve essere celebrata nel contesto di una cena di solidarietà dei ricchi verso i poveri, perché per mangiare degnamente il Corpo del Signore e bere degnamente al suo calice, bisogna riconoscere il Corpo del Signore, costituito dalle membra della comunità  (1 Cor 11, 20-29).

La solidarietà dei ricchi verso i poveri si inserisce, quindi, nel quadro della comunione fraterna in Cristo e della solidarietà verso i più deboli e bisognosi di aiuto: i sani devono aiutare i malati, i sapienti devono consigliare gli ignoranti, ecc. Ma è il bisogno altrui quindi, non il “mio progetto”, che deve guidare la “mia azione”. Per cui devo farmi prossimo di chi è nel bisogno e fare tutto quello che è possibile “da parte mia”, come viene indicato molto bene nella parabola del buon samaritano (Lc 10,30 ss).

Se nel “Padre nostro” si parla del pane quotidiano, si vuole indicare la cosa più importante nell’ordine delle cose materiali, da cui dipende la salute e la vita stessa, ma non si vuole certo escludere tutto il resto di cui l’uomo ha pure bisogno per vivere.

Nella riforma della Liturgia della Santa Messa è stata valorizzata la Colletta, la raccolta di offerte, intesa come gesto simbolico della solidarietà che i “cristiani” devono praticare nel quotidiano verso i membri più deboli e più poveri della comunità cristiana, della società civile e di tutta la famiglia umana.

Non sempre però sulla Terra possiamo essere felici, e se abbiamo un po’ di felicità la dobbiamo condividere con gli altri. Si prova della gioia quando si aiutano gli altri a portare un fardello. Lo sappiamo tutti perché alcuni si dedicano agli altri? È perché altri si sono già dedicati a loro. Non possiamo essere felici finché uno dei nostri fratelli è infelice. È dovere del ricco di dare molto ai poveri e di chi non ha nulla di non invidiare il ricco, perché l’uno e l’altro mancherebbero di carità, e nessuno entrerà nel regno di Dio se non ha la carità. La fede non è nulla, senza la carità.

È lapalissiano che l’effetto non si raggiunge  parlando: vale più dare il buon esempio. Gesù ha detto che è buono chi fa il bene e non chi parla bene. Ciò vuol dire che c’è sempre qualcuno che trae profitto dai buoni esempi.

Qualche buon esempio ci potrebbe venire dalle comunità cristiane primitive anche se anch’esse non erano senza problemi!
Se ci fermiamo un po’ a riflettere sulla parola “comunità”, non possiamo fare a meno di considerare come tale la famiglia.
Essa è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore.

Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. La globalizzazione, però, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. Inoltre, le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche l’assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati “inutili”.

Paolo VI afferma a tal uopo “che non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono incontrarsi in uno spirito di fraternità. I loro obblighi sono:
-  il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite;
-  il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento delle relazioni tra popoli forti   e popoli deboli;
- il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo nel quale il progresso degli uni non costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri”.

La solidarietà cristiana  presuppone dunque che il prossimo sia amato non solo come “essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo”.

Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità. Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri, tutti reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata data una grazia secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità comune (cfr  Ef 4, 7.25; 1 Cor  12,7) ”Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv  13, 34-35).

“Cristo”, dice Papa Francesco, “abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda”. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17).

Noi crediamo veramente in questo? Crediamo che la solidarietà è possibile? Se sì, non ci resta che praticarla… e sarà Pasqua.


Pino M., 9 aprile 2014

 

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