I cattolici e la politica: una riflessione a partire dall'elezione di Sergio Mattarella

 

L’Italia ha un nuovo Presidente della Repubblica.

 Come interpella, un evento di questa portata, la coscienza dei cittadini cattolici? E soprattutto, come interpella il carisma di una Istituzione come la nostra, i cui membri intendono vivere una spiritualità di Incarnazione, e stare nel mondo come sale, alla maniera dei primi cristiani?

 Intanto, l’elezione di Sergio Mattarella – pur essendo avvenuta con una maggioranza molto ampia, e pur avendo la sua figura suscitato grande consenso, perfino da parte di molti che non lo hanno votato – si è svolta in un clima di grande disaffezione e di profonda lacerazione del “tessuto civile”. Come testimoniano le altissime percentuali di astenuti, verificatesi negli ultimi appuntamenti elettorali, larghi strati di cittadini nutrono ormai profonda sfiducia nella classe politica nel suo complesso, e perfino nelle istituzioni; tanto che in non pochi commenti sui “social network” e sulla “rete” in genere, il neo-presidente è stato sprezzantemente considerato nulla più che un nuovo “occupatore di poltrone”, pronto a beneficiare dei lauti emolumenti previsti per la sua carica… Al di là delle specifiche competenze istituzionalmente previste per il suo ruolo, il Presidente Mattarella sarà quindi chiamato a tentare di ricostruire un clima di maggiore fiducia, accreditandosi a pieno titolo come vero “garante della Costituzione” e imparziale custode della legalità.

 C’è da chiedersi, peraltro, se dovrà rimanere solo, in questo difficile tentativo… I cattolici (i cittadini cattolici, per meglio dire) devono accodarsi al treno di coloro che non vedono altro che marciume, corruzione, illegalità? Devono rimanere “alla finestra” a vivisezionare atti e parole del nuovo Presidente, pronti a giudicarlo e a “coglierlo in fallo”? O non devono piuttosto – pur riconoscendo (e sarebbe impossibile non farlo) la gravità di una situazione giunta a limiti intollerabili – adoperarsi a loro volta, ciascuno nel suo piccolo, a ricostruire un clima di fiducia, a stimolare nelle persone con cui entrano in contatto la volontà di discutere, di impegnarsi, e comunque la capacità e addirittura il dovere di orientarsi tra le diverse proposte politiche, di discernere, di scegliere, senza fare sempre e comunque “di tutta l’erba un fascio”?

 Perfino San Paolo, d’altra parte, è quanto mai esplicito al riguardo, quando scrive ai Romani sul giusto atteggiamento (cfr. Rm 13, 1-7) che i singoli credenti e le comunità cristiane devono tenere nei confronti delle “autorità costituite”: ed è evidente che, se allora non poteva parlarsi d’altro che di un atteggiamento da “buoni sudditi”, ai giorni nostri questo atteggiamento non può che tradursi in quello del “buon cittadino”, interessato alla “cosa pubblica”, cosciente che il Regno di Dio è già in mezzo a noi e si costruisce a partire dalle “cose terrene”, a prescindere dalle capacità e dalle qualità morali di coloro che sono  effettivamente chiamati a compiti di responsabilità istituzionale, che vanno semmai stimolati – oltre che criticati – e per i quali (nientemeno!) i cristiani sono chiamati a pregare!

 Ma del resto, la stessa celebre esortazione di Gesù: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, riportata da tutti e tre i Vangeli sinottici (Mt 22, 15-22; Mc 12, 13-17; Lc 20, 20-26), nel momento in cui addirittura legittima il pagamento dei tributi – da parte dei Giudei – all’autorità di occupazione romana, a maggior ragione non può che evidenziare, ai giorni nostri, la necessità per un cristiano non solo di adempiere al proprio dovere di “contribuente”, ma di esercitare pienamente i diritti e i doveri che gli derivano dall’appartenere ad una “comunità civile”.

 C'è però un altra questione meritevole di attenzione, suggerita proprio dall'elezione di una personalità come Sergio Mattarella, con i suoi trascorsi, le sue idee, il suo profilo culturale, spirituale, politico... Nelle ore immediatamente successive all'elezione, su alcuni giornali e alcuni siti si sono letti e ascoltati commenti come:  "Finalmente un cattolico!"... affermazione comprensibile, in un certo senso, se vuole esprimere la gioia e la soddisfazione la scelta di un uomo e un politico come Mattarella, da parte di chi ne ha condiviso e ne condivide il percorso e gli ideali... ma anche un'affermazione potenzialmente pericolosa, nel momento in cui - forse anche al di là delle intenzioni di chi la pronuncia - fa intravvedere (almeno se la traduciamo in: "Finalmente abbiamo chi ci difende, chi rappresenta i nostri interessi!...") una concezione di Chiesa come "lobby" e non come comunità di coloro che credono in Gesù Cristo Figlio di Dio, e quindi una concezione di fede come "patrimonio culturale" che accomuna ben definite persone e gruppi piuttosto che altri, e non come "luce" capace di illuminare ogni uomo ed ogni popolo attraverso l'azione della grazia di Dio che irradia il suo Amore su ogni creatura. Poco meno di 10 anni fa, in una delle sue più illuminanti pubblicazioni - La differenza cristiana, Einaudi, 2006 - Enzo Bianchi mise molto bene in luce i rischi insiti in una simile concezione, da parte di chi concepisce un cristianesimo che "non ha più come fondamento la parola di Dio contenuta nelle Scritture", che "non vuole più essere giudicato sul suo essere o meno 'evangelo'", che "preferisce essere declinato come 'religione civile'". "In quest'ottica" scriveva Bianchi "pare che l'unico interesse sia che la chiesa rappresenti un elemento centrale della vita della società, e poco importa se questo significa che il vangelo perda il suo primato, che non ci sia più possibilità di profezia, che finiscano per prevalere logiche di potere... [Ma] così si costringe la chiesa ad assumere, nei criteri di intervento e nei metodi, la logica della lobby, del gruppo di pressione, e si rischia di offuscare la sua forza profetica e la sua trasparenza di serva del vangelo".

 Nella storia del nostro paese, non sono mancati momenti in cui le condizioni storiche - l'affermarsi dei partiti di massa e soprattutto dei movimenti operai; la guerra fredda; il terrorismo... - e le risposte date alle sfide proposte dal loro tempo dai leader politici e religiosi - la fondazione del "partito cattolico", lo schieramento nel "campo occidentale" - hanno "spinto" verso una concezione del rapporto tra politica e religione, tra Stato e Chiesa, tra laici e cattolici, del tipo di quella che il fondatore della Comunità di Bose paventa. Eppure, anche in quei momenti sono emerse provvidenzialmente - tra i "politici cattolici" - personalità capaci - per dirla ancora con Bianchi - di "elaborare ragioni nell'agorà pubblica", di "esprimersi in termini che non siano né dogmatici, né soltanto sostenuti dalla loro fede", usando "un linguaggio antropologico, tale da essere comprensibile anche dagli altri e capace di mostrare le 'ragioni umane' che sostengono le loro posizioni e le loro scelte". Capaci, in definitiva, di declinare la politica come "spazio della laicità", del confronto, del dialogo, delle scelte...

 Pensiamo a personalità come Aldo Moro... come Alcide De Gasperi, capace di guidare l'Italia nei difficilissimi anni del secondo dopoguerra, collaborando di volta in volta con partiti e forze politiche che esprimevano ideali e culture diverse, cercando punti di incontro e di contatto, possibilità di collaborazione;  capace di "tenere testa", contrapponendo le proprie ragioni, perfino al Vaticano, che in certi momenti (erano gli anni che precedevano l'avvento di Giovanni XXIII e il Concilio) voleva portarlo - in quanto, appunto, esponente del "partito cattolico" e quindi potenziale "difensore degli interessi cattolici" - verso scelte differenti, dal punto di vista dei programmi e delle alleanze...  Ma pensiamo anche a uomini come Giorgio La Pira (del quale è in corso la causa di beatificazione), sindaco di Firenze dal 1951 al 1965 (salvo brevi interruzioni), uomo di Dio, uomo di preghiera e di studio, che si batté per dare un posto di lavoro a diecimila disoccupati; che difese il posto di lavoro di duemila operai della Pignone, salvando l'azienda con l'aiuto di Enrico Mattei; che requisì case e ville vuote e sfitte a beneficio dei senza tetto, in attesa che si costruissero case nuove; che intervenne presso Stalin per perorare la causa della pace in Corea; che promosse nella sua città incontri per suscitare la pace e il dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani...

 E pensiamo, infine, a tutti coloro che - venute meno in Italia e in Europa le ragioni storiche e politiche che avevano portato alla nascita e all'affermazione del "partito cattolico" - hanno accettato di continuare il loro impegno e la loro battaglia apportando, laicamente, le loro idee e proposte nelle forze e negli schieramenti i cui programmi sono, secondo la loro coscienza, più "permeabili" ai valori del Vangelo (sempre coniugati "antropologicamente"); convinti (cfr. ancora La differenza cristiana, pag. 37) che i laici "siano capaci di elaborare e assumere un'etica, anche se non hanno la fede [perché]l'immagine di Dio è presente in ogni uomo e quindi ogni essere umano è capace di discernere il bene e il male"; e che - quindi - con i laici (con alcuni, almeno) "si può condividere la compassione per l'uomo, la lotta per la libertà, la giustizia e la pace".

 La storia personale e politica di Sergio Mattarella autorizza ad "iscriverlo" nell'area di coloro che desiderano partecipare alla "cosa pubblica" con la logica del "sale della terra" (Mt 5, 13). I suoi primi atti da Presidente sono tali da suscitare speranza. Ma la strada sarà lunga e difficile...

 Auguri, Presidente!

 

I.T.