Dall' "informazione" alla "formazione": studiare la realtà, per modificarla...

 

 

 

Ha suscitato scalpore l'intervento con il quale, dagli schermi della rete "all news" da lei diretta, la giornalista Monica Maggioni ha annunciato, pochi giorni fa, che Rainews24 non avrebbe mai più mandato in onda i filmati dell'ISIS.

 

Viviamo in un mondo caratterizzato dalla sovrabbondanza di informazioni e dalla velocità con le quali le stesse circolano, e - di conseguenza - anche dalla concorrenza, a volte spietata, tra gli "agenti" dell'informazione - giornali, TV, radio, portali internet, social network ecc. - pronti a tutto pur di essere i primi a dare una notizia e soprattutto a farla vedere, a "mandarla in onda" o "in rete", per prestigio, ambizione professionale o puro tornaconto economico. Non è quindi così scontato che il canale della TV pubblica  interamente dedicato all'informazione, e con esso il portale on-line Rainews.it, si autocensuri al termine di un faticoso dibattito interno alla redazione, durato diversi mesi - come ha affermato la Maggioni nel suo "editoriale" - e conclusosi con la decisione ferma di non voler diventare - diffondendone i filmati sapientemente studiati - "parte della propaganda" del sedicente califfato, divenuto - ha affermato la direttrice - "una sorta di Hollywood del terrore".

 

 

 

"Avete sentito oggi la notizia dei cento rapiti nella zona di Tikrit, in cui ci sarebbero anche dei bambini?", si è chiesta la Maggioni. "Allora, che cosa dobbiamo aspettare, di vedere i bambini nelle gabbie, per fermarci? Noi abbiamo deciso di fermarci oggi!".

 

Le reazioni - soprattutto in rete, sui social network e negli spazi che ormai ogni giornale on-line, ogni sito, ogni blog dedica ai commenti dei lettori/visitatori/navigatori - a questa presa di posizione così insolita, non si sono fatte attendere, e sono state in massima parte positive; a testimonianza, ancora una volta, di quanto sia superficiale e sbrigativa la giustificazione che tanti operatori del mondo dell'informazione e dello spettacolo si danno, per diffondere materiale oggettivamente scadente, se non volgare, violento ecc., affermando che questo è "ciò che vuole il pubblico"... Ma c'è in effetti un problema ancora più ampio, aperto o meglio portato alla luce da questa decisione, che tocca direttamente temi fondamentali quali la libertà, la democrazia, il dialogo, la convivenza, attraverso le questioni distinte ed insieme interconnesse dell'informazione e della formazione/cultura.

 

Non c'è alcun dubbio che, nelle società contemporanee, l'informazione - libera, ampia, completa, plurale, aperta - sia uno dei pilastri fondamentali della democrazia: un cittadino può dirsi tanto più consapevole e capace di partecipare alla vita pubblica, quanto più è "informato" su ciò che accade intorno a lui, a livello di società civile, di sistema politico ed economico. Da questo punto di vista, la diffusione dei canali informativi, la loro pluralità, la facilità di accesso agli stessi, la loro prontezza nel dare le notizie, non può che essere - almeno potenzialmente - uno strumento potente di diffusione della democrazia. Se ne potrebbe dedurre che ogni limitazione alla assoluta libertà di circolazione delle informazioni, compreso ogni tipo di censura o autocensura, possa rappresentare una ferita all'idea stessa di libertà.

 

Ma, come si diceva all'inizio, l'enorme progresso tecnologico cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha generato una "sovrabbondanza" di informazione: quello che - in termini economici - potremmo definire un "eccesso di offerta", che si accompagna spesso ad una caduta di qualità. Per "vincere", essere primi, accaparrarsi "audience" (e quindi introiti pubblicitari), gli operatori dell'informazione finiscono per venir meno al loro compito istituzionale, e - piuttosto che informare - puntano a stupire, a scioccare, perfino a terrorizzare (con la stessa logica dei produttori di film horror nei confronti del loro pubblico)... in definitiva, comunque, a semplificare. I video dell'ISIS non sfuggono a questa logica, anche se per fini politico-religiosi più che economici. Non si propongono di informare, ma di indottrinare, di fare propaganda, di seminare il terrore, anche al di là - probabilmente - delle effettive possibilità politico-militari del "califfato". E il pubblico, l’ “utente”, non riceve da quell’informazione uno stimolo alla crescita, alla comprensione del mondo che lo circonda e dei meccanismi che lo regolano, alla propria capacità di analisi e di critica. Al massimo, è portato ad una reazione “viscerale”, dettata esclusivamente dall’emozione immediata, positiva o negativa che sia.

 

In questo quadro, è più che mai urgente compiere un reale "salto di qualità", che consiste nel passare dall'essere "informati" ad essere "formati".  E se è certamente vero che l’informazione è anche un passaggio necessario per una adeguata formazione, è ancora più vero che una formazione degna di questo nome deve anche – e forse prioritariamente – puntare a far acquisire la consapevolezza che l'informazione - oggi più che mai - non è mai "neutrale"; e che quindi occorre imparare a "filtrarla", a identificarne le fonti e gli obiettivi palesi e nascosti che possono perseguire, a discernere - tra ciò che propongono - ciò che è davvero utile, interessante,  valido.

 

Per l'Istituzione Teresiana quello della formazione, dello studio, è un tema essenziale. Il suo fondatore, Pedro Poveda, ne intuì l'enorme importanza ancora prima di elaborare l' "Idea buona" dell'Opera Teresiana, quando - giovane sacerdote di Guadix, in Andalusia - comprese che alla fascia da sempre emarginata della popolazione della città (quella che abitava nelle "cuevas", le grotte, anche fisicamente separate dal centro urbano) doveva portare non solo il pane e la parola di Dio (attraverso la catechesi) ma anche l'educazione e la cultura; e questa idea di fondo lo guidò anche quando, a Covadonga (sui monti delle Asturie), concepì il progetto delle "Accademie Teresiane", convinto che il problema fondamentale per la società di quel tempo fosse una presenza cristiana matura e professionalmente preparata, nel mondo della scuola, della cultura, delle istituzioni pubbliche, delle professioni.  “Per me" scriveva ancora nel 1931 "è fuori dubbio che lo spirito occupa il primo posto nell’Opera e non solo è il primo, ma è anche l’essenziale, ciò per cui l’Opera deve vivere, deve esistere e deve essere un’opera di apostolato. Ma accanto allo spirito, io metto la scienza e ritengo che spirito e scienza siano la forma sostanziale dell’Istituzione, cioè  quello per cui è ciò che è e non una cosa differente, migliore o peggiore ... e chi non è di questo parere, non comprende che cosa è l’Opera".

 

Gli Statuti dell'I.T. - quelli attualmente in vigore sono stati approvati nel 1990 dal Pontificio Consiglio per i Laici - riflettono fedelmente questa idea-forza fondamentale del fondatore, sin dall'art. 1, dove si afferma che "l'Istituzione Teresiana è un'Opera della Chiesa che ha come finalità la promozione umana e la trasformazione sociale per mezzo dell'educazione e della cultura, in enti e organizzazioni pubblici e privati"; e si continua (comma 2) dicendo che l'Istituzione "partecipa così alla missione evangelizzatrice della Chiesa, collaborando alla realizzazione del Regno di Dio nella storia".

 

La riflessione sull'importanza dello studio e della formazione per la realizzazione della missione ha quindi sempre impegnato i responsabili dell'Opera, e ciascuno dei suoi membri, lungo la sua storia. Fino all'ultima Assemblea Generale, celebrata in Spagna, a Los Negrales, nel 2012, quando si decise tra l'altro di dedicare ciascuno degli anni successivi del sessennio - sino alla Assemblea del 2018 - ad uno dei temi fondamentali connessi alla missione dell'I.T. ... e il 2015, appunto, sarà l'anno dedicato allo studio!

 

Su queste pagine, abbiamo dato ampio spazio ai contenuti della lettera che la Direttrice Generale ha inviato ai membri dell'istituzione all'inizio dell'anno, allegandone anche il testo integrale. In questa sede, ci sembra però utile ricordare come Maite Uribe sottolinei in quel messaggio che "per Pedro Poveda l’impegno dello studio è connaturale alla nostra missione educativa, per avere una presenza dialogante, critica e propositiva nella società in cui ci troviamo e poter diventare professionisti competenti, aggiornati e attivi nel dibattito culturale". "L’esercizio di qualsiasi professione" scrive "e gli impegni più quotidiani, quando si vivono nell’orizzonte della fede, non si possono fare senza una dedicazione costante e profonda allo studio. Questo ci garantisce di camminare al ritmo dei tempi, di stare in costante aggiornamento, di poter offrire ai nostri contemporanei le migliori risposte disponibili in ogni momento storico. Non è lo studio per lo studio, né tantomeno vogliamo cadere in un intellettualismo sterile. E’ soprattutto uno studio che ci permetta di rispondere con ciò che di meglio abbiamo e possiamo".

 

Insomma, lo studio serio e costante, la formazione attenta e rigorosa, sono - ne siamo più che mai convinti - gli unici mezzi per comprendere la complessa realtà che ci circonda, e per intervenire su di essa - ciascuno con i piccoli o grandi strumenti che ha a disposizione, come singolo o come gruppo - per modificarla; per tentare - appunto - in dialogo con i nostri contemporanei, di "offrire loro le migliori risposte disponibili". L'informazione è uno strumento essenziale per tutto questo... a patto di formarsi anche ad utilizzarla nel modo corretto, a non farsene schiacciare, a non farsene condizionare al punto di perdere ogni capacità critica e propositiva, lasciando prevalere l'istinto irrazionale. Il pericolo è sempre in agguato, dai filmati del "califfato" ai tanti, forse troppi talk-show televisivi in cui si urla molto e si ragiona poco. Ha quindi ragione, a nostro avviso, Monica Maggioni quando dice che "per chi fa televisione è complicato immaginare di dire questa cosa non la si vede"; ma anche quando afferma che "però è venuto il momento di dire questa cosa non la si vede, ed è venuto il momento di utilizzare gli strumenti che abbiamo, la nostra intelligenza, i valori democratici, il saper vivere insieme, per capire qual è il limite al quale anche noi decidiamo di attenerci".

 

Lo studio ci guida ad essere profeti: con umiltà, con pazienza, con coraggio... con "la mente e il cuore nel momento presente" (San Pedro Poveda).

 

I.T.