Come in Italia Papa Francesco ha richiamato più volte autorità ed opinione pubblica sull’emergenza immigrazione, così in quei paesi del Sud-Est asiatico la Conferenza Episcopale australiana ha invitato ad “intervenire con urgenza” per aiutare le popolazioni profughe. Si constata che tutto il mondo si trova a vivere una crisi umanitaria senza precedenti.

Malgrado la voce della Chiesa si alzi autorevole e forte, essa rimane inascoltata.

Papa Benedetto aveva preannunciato il “collasso del senso di umanità”; Papa Francesco arriva a suggerire ospitalità presso Istituti e Comunità religiose.

In queste molteplici manifestazioni di rifiuto dell’altro emerge l’egoismo più becero che l’essere umano abbia potuto mostrare.

Solo adesso l’Europa balbetta accoglienza, mentre ancora si muore in mare o si è fermati dinanzi ad un muro che non ammette possibilità di soluzione. Ma quanto bisogna aspettare?

Chi ha qualche anno in più come me ricorderà che nei primissimi anni sessanta un giovanissimo cantautore americano ha svegliato l’interesse e la riflessione del mondo (almeno di quello giovanile e delle persone
sensibili) cantando:

How many roads can a man walk down
Before you can call him a man?”
Quante strade deve percorrere un uomo
prima che lo si possa chiamare uomo?

Più che una canzone è una poesia che ha come sfondo la guerra del Vietnam di allora, ma che ben si adatta ai problemi di oggi perché universale nella sua ispirazione. (chi vuole può trovare il testo intero e la sua storia su: Wikipedia.it-Bob Dylan).

Ebbene, questo grido rimane tutt’ora un’eco struggente ancora da cogliere.


Angela Sanfilippo