"Fratelli nostri che cercano una vita migliore...".

L'Europa e l'Italia di fronte al dramma dei migranti

 700, o più probabilmente 800 o 900, migranti provenienti da varie parti dell'Africa e non solo, sono morti nel naufragio del barcone che li trasportava verso le coste italiane, nella notte tra sabato 18 e domenica 19 aprile. "Uomini e donne come noi" ha ricordato il papa nel Regina Coeli di domenica 19, con la voce incrinata dalla commozione, "fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre; cercano una vita migliore. Cercavano la felicità..."

 C'è voluta la più grande tragedia nella storia del Mediterraneo per smuovere l'Europa dal suo letargo, o dalla sua complice indifferenza; è stato convocato un vertice straordinario che ha visto riuniti tutti i ministri degli Esteri e dell'Interno dell'Unione, nel tentativo di trovare contromisure adeguate ad evitare il ripetersi di simili stragi. Eppure, ancora una volta, si ha l'impressione che questa grande e comunque tardiva mobilitazione abbia prodotto risultati deludenti; ancora una volta - e indipendentemente dal loro "colore" politico - i responsabili dei governi europei appaiono condizionati da una opinione pubblica interna dove è molto forte e fa comunque molto rumore la tendenza alla chiusura, al ripiegamento sui problemi "interni" indotti dalla crisi, all'esclusione del "diverso", quando non al vero e proprio razzismo.

Una risposta insoddisfacente, come quella fornita lo scorso autunno ai pressanti appelli non solo del governo italiano - non più disposto a farsi carico in esclusiva del problema dei migranti solo per ragioni geografiche, perché paese "di frontiera" e di "primo approdo" - ma anche di moltissime ONG e associazioni operanti nel campo della Cooperazione, della stessa Chiesa, per un impegno diretto dell'Europa nell'affrontare il problema dei migranti, con misure e risorse adeguate.

La risposta - come è noto - è consistita, allora, nel varo della cosiddetta "operazione Triton" (coordinata dall'agenzia europea Frontex), in sostituzione dell' "operazione Mare Nostrum", lanciata un anno prima, nell'ottobre 2013, dal governo italiano allora presieduto da Enrico Letta, dopo un duplice naufragio al largo di Lampedusa che costò la vita a circa 600 migranti. Ma se "Mare Nostrum" poteva contare su un "budget" mensile di 9,5 milioni di euro (a carico del bilancio italiano), l'Europa tutta ha dotato "Triton" di mezzi pari ad appena 2,9 milioni (meno di un terzo). "Mare Nostrum" nacque con l'obiettivo esplicito di garantire la salvaguardia della vita in mare e arrestare gli scafisti, e per questo le navi coinvolte nelle operazioni erano autorizzate a spingersi fino a ridosso delle coste libiche; l'obiettivo di "Triton", invece, è limitato al pattugliamento delle coste e al controllo delle frontiere, e per questo i mezzi di soccorso non devono spingersi oltre le 30 miglia dalle coste europee.

Risultato: 1600 morti in mare da gennaio 2015 fino ad oggi, contro i 17 dello sesso periodo del 2014 (vigente "Mare Nostrum").

Non erano poche, e non mancavano certo di autorevolezza, quindi, le voci che di fronte alla strage di domenica 19 premevano per il varo di una sorta di "Mare Nostrum europea", un'azione navale internazionale che potesse "non solo limitarsi a presidiare i confini, ma costruire veri e propri percorsi di salvezza, canali umanitari per le persone e i popoli in fuga" (dal comunicato stampa di Migrantes, organismo pastorale costituito dalla CEI per la cura pastorale e l'accoglienza dei migranti).

L'accordo scaturito dal vertice dei ministri europei, invece, si imita di fatto a due impegni principali:

  1. l'aumento dei fondi a disposizione dell' "operazione Triton", che vengono triplicati (ma non vengono cambiate le "regole di ingaggio" e gli obiettivi, che continuano ad essere limitati al controllo delle frontiere);
  2. la lotta ai "trafficanti di essere umani", i cosiddetti "scafisti" e i loro mandanti e organizzatori dei viaggi dei migranti; obiettivo certamente lodevole e anzi sacrosanto, risultando particolarmente odiosa la speculazione fatta da individui senza scrupoli sulla miseria e sulla disperazione di masse sempre più imponenti di uomini e donne; ma che - oltre ad essere comunque insufficiente (come si dirà in seguito) - si ipotizza di conseguire anche mediante azioni (come l'affondamento e la distruzione dei barconi per impedirne la partenza), che potrebbero configurarsi come veri e propri "atti di guerra" e condurre a conseguenze diplomatiche estremamente complicate e pericolose, non solo con i governi dei paesi interessati (i tre diversi "governi" che attualmente si spartiscono il territorio libico hanno già diffidato l'Europa dal portare avanti azioni del genere, almeno se non coordinate con quei governi stessi).

Inoltre, i governi europei parlano - in modo a dire il vero un po' generico - di "aiuti" da fornire ai paesi africani, affinché provvedano da soli al controllo delle proprie frontiere. Ma questo controllo - in passato assicurato dagli accordi (che ora molti rimpiangono) stipulati con alcuni governi nord-africani (primo tra tutti quello libico del "colonnello" Gheddafi) - mira esclusivamente ad evitare le partenze; cioè, di fatto, a "tranquillizzare" le opinioni pubbliche europee (desiderose soprattutto di veder diminuire gli sbarchi), a prezzo, peraltro, delle inimmaginabili sofferenze delle migliaia e migliaia di persone che volevano e vogliono ad ogni costo fuggire dalle realtà insostenibili dei loro rispettivi paesi, e che rischiano invece di finire incarcerate, depredate, vessate, dalle autorità dei paesi affacciati sul Mediterraneo. Un vero e proprio "tappo", un modo legale ma brutale - per noi europei - di nascondere la polvere sotto il tappeto...

Per quanto impopolari - almeno per i fautori di quello che Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana definisce "'cattivismo' di maniera buono al massimo per le TV" - le misure necessarie sono ben altre: la prima - la cui efficacia peraltro non potrà che verificarsi nel medio-lungo termine, anche perché richiederebbe una svolta di 180 gradi nella politica finora perseguita dall'Europa e dagli Stati Uniti verso i Paesi di provenienza dei migranti - consiste nell'aiutare (ma sul serio!) lo sviluppo di quei Paesi, per convincere quante più persone possibile a restare, a costruirsi un futuro là e non qui. La seconda - questa invece davvero urgente, e realizzabile immediatamente - l'abbiamo accennata poco fa, riferendo del comunicato stampa di Migrantes: consiste nell'apertura di vie di accesso legali, di canali umanitari che permettano a questi "fratelli affamati, perseguitati, feriti, sfruttati..." (riprendiamo le parole del Papa) di scegliere - anche già prima di partire, in deroga al cosiddetto "regolamento di Dublino" che obbliga il richiedente asilo a presentare la propria istanza presso il Paese di approdo - il Paese dove desiderano andare, e di raggiungerlo in sicurezza.

Sul fronte di coloro che chiedono a gran voce l'adozione di queste misure non c'è solo la Chiesa - direttamente, attraverso la voce del Papa e dei vescovi e dei propri organismi, ma anche tramite diverse aggregazioni e movimenti di ispirazione cattolica, quali ACLI, Comunità di S.Egidio, Emmaus, Libera - ma anche, ancora una volta, svariati organismi e ONG impegnati nel campo della Cooperazione e dell'aiuto alle popolazioni più svantaggiate, quali - solo per citarne alcuni - Medici senza Frontiere, Emergency, Amnesty International, Legambiente. Sono, come si può vedere, quelle realtà da sempre "in trincea", consapevoli che il fenomeno migratorio ha assunto negli ultimi anni dimensioni e proporzioni tali da non poter essere più arrestato, neppure a prezzo di stragi, neppure adottando comportamenti irresponsabili, sognando respingimenti o affondamenti di barconi. Sono coloro che - religiosi o laici, credenti o non credenti - rispondono più o meno consapevolmente, ma comunque nei fatti, all'esortazione del Signore che ci chiede di "non esitare a sporcarci le mani nelle ferite degli uomini, ad accostarci alle sue carni sanguinanti di oggi, ad andare nelle tante periferie della storia, a fermarci, come il Samaritano, accanto alle molte e varie situazioni di sofferenza e di abbandono" (dall'omelia del Card. Montenegro, arcivescovo di Agrigento e Presidente di Migrantes, nella Messa di insediamento nella chiesa romana dei SS. Andrea e Gregorio di cui è stato insignito titolare, celebrata proprio la domenica 19, a poche ore dal drammatico naufragio).

L'Europa e l'Occidente potranno ancora dilazionare i propri interventi, palleggiarsi le responsabilità, dosare con il bilancino il proprio impegno... ma sarà a prezzo di ulteriori drammatiche sofferenze, inferte a uomini, donne e bambini verso i quali - oltre ad avere un pesante debito che risale sino ai tempi del colonialismo e della tratta degli schiavi - abbiamo invece un inderogabile dovere di solidarietà: come credenti, per chi ha fede... ma comunque, inevitabilmente, come esseri umani.

 

 

Roberto Jori

Responsabile Editoriale

I.T. Italia