Elisa: una che sapeva far crescere


Elisa - VescovioE' una cosa a cui ripenso spesso. Con Elisa (me la sento così vicina e presente che non riesco a chiamarla con tutti i titoli che le competono: "Serva di Dio Elisa Giambelluca") eravamo amiche ed anche impegnate negli stessi campi: l'insegnamento e l'educazione, o meglio l'educazione attraverso l'insegnamento. E sapevamo entrambe che si educa e si insegna in tanti modi. Prima che ce lo dicessero gli "addetti ai lavori" dei nostri giorni lo avevamo letto nella Bibbia: i Profeti parlavano, ma non solo, talvolta facevano solo gesti simbolici, finché qualcuno incuriosito domandava cosa significavano quei gesti. E Gesù era giustamente chiamato ''Maestro'', e che maestro... parola, segni, dono della vita. Con umiltà, ci ispiravamo a loro.

Ma ci avevano insegnato anche altre cose, diciamo così, di tipo erudito e laico. Ci avevano detto che educazione viene da "educere": tirare fuori ciò che l'educando aveva già dentro, come faceva Socrate, che solo facendo domande e ascoltando - insomma dialogando - portava l'interlocutore a scoprire la verità che aveva già dentro di sé. Un educatore appunto fa questo. Una volta però uno di questi nostri "aggiornatori" ci disse che purtroppo talvolta un insegnante invece di essere un "educatore" era un "fossore". E non occorre che si spieghi la differenza.

Vescovio -fioriMa oltre a tutto questo, che a mio parere è verissimo, c'è un altro compito per l'insegnante-educatore: deve lasciare crescere, far crescere e discretamente aiutare a crescere. E mi sembra che Elisa questo lo sapeva fare molto bene. In tutti gli ambienti e quasi direi con tutti gli esseri viventi. Ad esempio, prima di recarsi a scuola si fermava brevemente, un poco fuori della soglia di casa, ad osservare le piante nei vasi che ornavano la facciata: un po' d'acqua, una fogliolina secca da levare... le aiutava a crescere bene, fresche e nutrite, con l'acqua e con l'amore. Poi, a scuola o alla meta dove era diretta. E, quanto a scuole, ne aveva conosciute di tutti i tipi: quelle difficili e molto problematiche, quelle che, come il Magistrale di Rossano dove era stata preside, era una specie di oasi nel panorama italiano perché vi studiavano ragazzi in genere buoni, che corrispondevano alle fatiche degli insegnanti. Posso dire che mi sembra che dappertutto lei sia riuscita a far crescere, sempre con il suo stile semplice, che tuttavia non nascondeva la competenza e l'impegno generoso.

Mi viene in mente un episodio particolare. Dopo i lunghi anni nell"'oasi" calabrese di Rossano, le fu chiesto di trasferirsi in un luogo di campagna, Vescovio, località campestre, con un bellissimo e antico santuario e quasi nessuna casa intorno, comune di Torri, provincia di Rieti. Da lì sarebbe andata a insegnare in una qualsiasi scuola dei dintorni da raggiungere in macchina. Le parole che scrisse nel suo diario in quei giorni fanno veramente pensare: non registrano nessuna scossa emotiva, piuttosto una pace profonda ed una accresciuta unione con il suo Signore da cui sembrava non staccarsi mai, prima nel pieno dell'azione in posti rumorosi, ora in questo luogo: un luogo a volte semideserto, a volte visitato o da gitanti o da coppie che vengono a sposarsi nel Santuario, che è dedicato alla Madonna della Lode. Quando giunse lì non sapeva ancora di essere già minata da quel male che poi la portò alla sua serena morte, dopo molte sofferenze.

Vescovio - giocandoPoi, la scuola, un Istituto Statale in un paese non lontano. Per quello che lei diceva, bravi ragazzi, che però avevano qualche abitudine scolastica che lei non condivideva molto. Quel giorno raccontò, mentre eravamo a pranzo, che era entrata in una classe e aveva trovato i suoi giovani alunni intenti a mangiare, bere e fare festa: era il compleanno di uno di loro. Ma la sua reazione fu molto moderata, disse soltanto: "Ma come? State mangiando e non mi invitate?" Così si unì con molta parsimonia alla mangiata generale dei buoni prodotti sabini, rimandando l'esternazione graduale del suo punto di vista educativo, non proprio coincidente con questa abitudine scolastica.

Penso che anche in questo modo sia stata educatrice, abbia aiutato a crescere, dopo aver tirato fuori (proprio "educere") dall'animo dei ragazzi quello che già avevano nel profondo: il senso dell'ospitalità, della festa, della condivisione.

Oggi nuovi problemi si pongono, nel campo scolastico ed educativo: i nostri ragazzi sono "nativi digitali" e molte cose le possono imparare dai loro strumenti elettronici. Ma questi in che modo fungono da insegnanti? E per la funzione educativa, come la mettiamo? E se fossero "fossori"? Un insegnante in carne e ossa per ora i ragazzi l'hanno pur sempre vicino. E come potrebbe agire per educare e far crescere?

Mi chiedo cosa farebbe Elisa. Ecco una bella domanda da porle.


Maria Cimino