C’era una volta Aylan…


Sarà, ancora una volta, papa Francesco, a smuovere le coscienze e a riportare alla ribalta un tema di drammatica urgenza come quello dei migranti, con la visita che sta per effettuare, il prossimo 16 aprile, all’isola di Lesbo (la “Lampedusa greca”!), insieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e all’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymos, anch’egli ortodosso?

Ci sarà chi, tra i responsabili politici dell’Europa “cristiana”, rifletterà sul fatto che la veridicità di questo appellativo non si gioca tanto sulla “tradizione”, sulla cultura, sulle architetture, ma sulla fedeltà alla parola di Chi disse: “… ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto…” (Mt 25,35)?

Di fatto, il cosiddetto “impegno” dell’Europa, per prendersi carico di una questione che con ogni evidenza la riguarda e sollevare i paesi situati ai suoi confini meridionali (Italia e Grecia) dall’onere di essere gli unici a dover fronteggiare una emergenza epocale, è durato – seppure c’è stato davvero – il breve spazio di pochi mesi o settimane.


Su questo sito – nell’articolo dal titolo “Fratelli nostri che cercano una vita migliore” (cit. da papa Francesco), pubblicato subito dopo il terribile naufragio del 19 aprile 2015 (giusto un anno fa!) nel quale persero la vita circa 900 persone – abbiamo già ripercorso le tappe del timido coinvolgimento delle autorità comunitarie e dei singoli paesi, sempre più insufficiente, soprattutto se si considera che – al contrario – i problemi (guerra, violenza, terrorismo, fame ecc.) che inducono i nostri fratelli a fuggire da Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Sudan, Eritrea, Nigeria, Congo (e l’elenco potrebbe continuare a lungo) si stanno sempre più aggravando, mentre continua praticamente indisturbato il commercio clandestino delle armi, che va a rifornire – ad opera di imprese europee e occidentali – anche i paesi governati dai regimi più integralisti e anti-democratici, e perfino gli stessi terroristi dell’ISIS!

C’è stato, a dire il vero, un momento in cui è sembrato che si potesse assistere ad una inversione di rotta, in cui i tanti appelli lanciati dalla Chiesa e dalle organizzazioni umanitarie, ad aprire “corridoi umanitari” per consentire ai profughi accessi sicuri all’Europa, a superare i vincoli imposti dai trattati in vigore (primo tra tutti quello di Dublino, che obbliga gli esuli a presentare domanda di asilo politico nel paese in cui approdano, anziché in quello dove vorrebbero effettivamente andare), potessero essere ascoltati.
E' avvenuto quando, dopo l’estate del 2015, sulle TV e sui giornali di tutto il mondo sono cominciate a circolare immagini di corpi di bambini galleggianti sul mare e, soprattutto, quando ai primi di settembre, la straziante foto del piccolo Aylan, riverso su una spiaggia turca, morto nel naufragio della barca con cui cercava di raggiungere le coste greche con i genitori e con il fratellino, ha commosso praticamente tutto il mondo.
Non era certo, purtroppo, l’unico bambino ad aver perso la vita in mare o sulla terra, nel tentativo di fuggire da condizioni invivibili nel proprio paese; e non è stato l’ultimo… ma dopo la pubblicazione della foto di quel visetto schiacciato sulla sabbia, e dell’operatore che lo raccoglie con tenerezza come si raccoglie un bimbo addormentato per portarlo a “fare la nanna” nel suo lettino, addirittura la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Hollande scrissero una lettera a tutti i leader europei, chiedendo una assunzione di responsabilità e la creazione di centri di accoglienza per migranti e richiedenti asilo, da rendere operativi “entro il 2015”.
Ci fu una risposta positiva di molti governanti, tra i quali il britannico Cameron, disposto – affermò – a ricevere altre migliaia di profughi oltre ai 5.000 già accolti; e il governo polacco preparò un piano di emergenza per il previsto ingresso di altri 30.000 migranti.
La speranza è durata poco: già l’affermazione esplicita, dei governi inglese e soprattutto tedesco, di voler privilegiare nell’accoglienza i profughi provenienti dalla Siria (per ragioni neppure tanto nascoste di convenienza economica), è sembrata ovviamente discriminatoria nei confronti degli “altri”; ma poi sono ricominciate, all’interno di ogni paese, le spinte delle forze politiche e sociali contrarie all’accoglienza quando non apertamente xenofobe e razziste, “giustificate” – nel migliore dei casi – dalla perdurante crisi economica; ma anche – come si diceva all’inizio – da una malintesa “difesa dell’identità cristiana” dell’Europa, che sarebbe “messa in crisi” dalla cosiddetta “invasione” di migranti in gran parte (ma questo è tutto da dimostrare) di fede islamica; e infine da presunte ragioni di “sicurezza” dei nostri territori, messa in pericolo in virtù della assurda equazione “migranti = terroristi”. E a dare il “colpo di grazia” in questo senso sono arrivati i terribili attentati che hanno colpito Parigi il 13 novembre 2015, che hanno ridato fiato e argomenti ai fautori del “fuori tutti i musulmani”.

Molti paesi, soprattutto dell’est europeo, hanno iniziato ad innalzare sinistre ed anacronistiche barriere (fili spinati, perfino muri, proprio nel continente che aveva brindato alla caduta del muro di Berlino nel 1989!), per impedire l’accesso ai migranti, che a migliaia avevano iniziato a percorrere la “via di terra”, attraverso la Grecia e i Balcani, come alternativa alle traversate del Mediterraneo.
Le immagini – poche, a dire il vero, da parte di TG distratti da altre ed evidentemente più “redditizie” notizie – provenienti da Idomeni (al confine tra Grecia e Macedonia) sono una sconvolgente testimonianza di questo imbarbarimento, con agli agenti di confine che attaccano i profughi – uomini, donne e bambini – sparando pallottole di gomma.
E’ di questi giorni la notizia che perfino l’Austria ha iniziato la creazione di una barriera al confine italiano del Brennero, per limitare, o controllare, o impedire l’accesso dei profughi transitanti per l’Italia. La fine dell'Europa, secondo alcuni commentatori.
Nei fatti il nostro paese si ritrova ancor oggi, insieme alla Grecia, ad essere non un luogo di accoglienza ma anche di transito verso il nord Europa, nell’ambito di una strategia condivisa tra tutti i membri della UE tesa a fronteggiare una emergenza epocale, ma il luogo – l’unico possibile, con la Grecia appunto – dove i nostri “fratelli in cerca di una vita migliore” (per riprendere le parole del papa) possano sperare di essere accolti, peraltro con tutte le limitazioni imposte dalle leggi vigenti.

E nel frattempo è intervenuto – lo scorso 28 marzo – il discutibile e discusso accordo tra i 28 paesi membri del Consiglio UE e la Turchia: al di là delle dichiarazioni di principio, di fatto uno scambio con il quale l'Europa – in cambio dell'erogazione di 6 miliardi di euro, e dell'impegno a riprendere in considerazione il percorso verso l'ingresso della Turchia nell'Unione – delega ad un paese in cui si sta registrando una pericolosa involuzione del tessuto democratico, il controllo delle frontiere e la gestione dei migranti irregolari rimpatriati; con quali garanzie dal punto vista umanitario, sarà tutto da dimostrare.

"E' chiaro che l'Europa ha subappaltato la sua responsabilità verso la gente che fugge da guerre e da situazioni comunque difficili" ha dichiarato in un'intervista al quotidiano on-line Lettera43 Kostas Moschochoritis, direttore generale dell'organizzazione umanitaria InterSOS e già impegnato nel settore logistico di Medici Senza Frontiere. Che critica fortemente non solo il recente accordo, ma anche tutta la politica perseguita dal Vecchio Continente nei confronti di questa emergenza, a partire dalla stessa distinzione che viene fatta tra "rifugiato politico" (che avrebbe diritto, una volta riconosciuto come tale, ad asilo e protezione) e "migrante economico" (che invece non potrebbe essere accolto in quanto tale).
Secondo Moschochoritis non ci sono "categorie di persone", ma "persone, ognuna con i propri enormi problemi [...] gente che fugge da carestie, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici [...] E' arrivato il momento per i governi europei di affrontare la realtà, aprire vie legali e sicure, e rispondere in una maniera comune, responsabile e umana al bisogno di protezione e accoglienza delle persone che fuggono da situazioni indescrivibili".
A poche ore ormai dall'arrivo a Lesbo di papa Francesco e del patriarca Bartolomeo, questo auspicio appare molto lontano dal potersi realizzare.

Si ritorna così alla domanda iniziale, e al desiderio forte che la personalità e l’autorevolezza del pontefice possa mettere i governanti europei e occidentali di fronte alle loro ineludibili responsabilità; perché non c'è dubbio che, se si dovesse perseverare nella politica sinora pervicacemente  seguita, si provocheranno solo  ulteriori gravissime sofferenze.

C'era una volta il piccolo Aylan... ma il lieto fine non si vede ancora...


Roberto Jori
Responsabile Editoriale
I.T. Italia