Victoria Díez. Ricordo di una maestra
Carmen Fernández Aguinaco. Narcea Edizioni
Passarono così ventitrè giorni, fino all'11 agosto, quando i miliziani vennero a cercare Victoria con la scusa di doverla interrogare...
Nei primi giorni della guerra regnavano il disordine e l'anarchia. Anche tra i miliziani esisteva una diversità di opinioni su come si dovesse agire con i detenuti. Alcuni pensavano che si dovessero uccidere subito, prima che le truppe del Movimento avanzassero e giungessero nei paesi isolati, come in effetti accade rapidamente. Altri pensarono che si dovesse attendere gli ordini e processare legittimamente gli accusati. Sembrò prevalere la necessità di agire prima dell'arrivo delle truppe.
Quando i miliziani arrivarono a casa di Victoria lei chiese con calma il permesso di cambiarsi d'abito e usci. Dalla casa di Don Paco, dove le destinarono una stanza di versa da quella dove si trovavano gli uomini, riuscì, attraverso un'inferriata, a passare un bigliettino piegato ripetutamente, ad una bambina della scuola, perché lo consegnasse alla mamma che aveva cercato di seguirla. Le diceva:
"Mammina, non abbia paura; rimango qui fino a quando non sarò interrogata; sono in casa di don Paco. Un abbraccio; non si agiti, abbia fede. Agostina, abbi cura di lei, non esca se non con te".
Agostina e la mamma accorsero subito e, attraverso l'inferriata, senza parlare, secondo il racconto dei testimoni, si scambiarono un bacio che, almeno per Victoria, fu senz'altro coscientemente un bacio di addio...