Victoria Diez - biografia

Gitana
Chi era Victoria Diez ?

Victoria Diez y Bustos de Molina nasce l’11 novembre del 1903 a Siviglia, in una Spagna segnata da conflitti ideologici e politici che facevano seguito ad un alternarsi di anni di ricchezza e di indigenza.

Figlia unica, in una famiglia di modeste possibilità che la circonda di grandi attenzioni per la sua fragilità, mostra fin da piccola un cosciente senso di responsabilità impegnandosi nell’ aiutare la madre nei più faticosi lavori domestici senza tuttavia  trascurare gli impegni scolastici.

Molto presto evidenzia inclinazione al disegno e alla pittura e nel  1917 si diploma nella Scuola di Arti e Mestieri di Siviglia. Contemporaneamente si delinea in lei  il conflitto tra senso dei  doveri  verso la famiglia e l’anelito missionario; la voce di Dio diventa prorompente.  “Che posso fare per compiacerti  il più possibile?” annota nel suo diario, e  “più” diventa una parola cardine nel vocabolario di Victoria.

Rispettando le preoccupazioni dei genitori , continua gli studi  presso la Scuola Normale Superiore di Magistero  ottenendo, nel 1923, il titolo di Maestra.  Nello stesso anno inizia la preparazione specifica per  la qualifica  all’insegnamento nella scuola pubblica, che ottiene nel 1925, conseguendo anche premi e riconoscimenti nel campo della pittura e dell’arte decorativa.

In quello stesso anno l’Istituzione Teresiana inaugura a Siviglia  una Accademia-Internato per studentesse di Magistero.

Sevilla
Victoria con le amiche frequenta il centro e nel  1926 è presente ad una conferenza sullo spirito educativo di Santa Teresa di Gesù, e ne rimane profondamente colpita. Era la risposta al suo anelito ad essere missionaria e nello stesso tempo essere educatrice. Più tardi, ricordando quel momento, lo chiamerà la “sera dell’incontro”. Trova finalmente risposte alla sua vocazione; s’incorpora nell’Istituzione Teresiana; supera i concorsi per l’insegnamento pubblico  e nel  1927 prende possesso del posto  di Maestro Statale  a  Cheles (Badajoz). Nella cittadina collabora con la parrocchia per la catechesi di bambini e adulti,

Il successivo 1928 ,chiesto il trasferimento per essere più vicina al padre rimasto a lavorare a Siviglia,  le assegnano una pluriclasse di 70 alunni  a Hornachuelos  ( Cordova).  Un paese  che la mette di fronte a una sfida : non andare in cerca di cose impossibili, ma al tempo stesso non accontentarsi di quello che trova.

Collaborando con la nuova parrocchia organizza il catechismo per i ragazzi e dà impulso all’Azione Cattolica.  Già nel 1929 riesce ad aprire per la sua scuola un nuovo locale, programma corsi serali per le donne che lavorano  e una biblioteca per le ex alunne, istituisce rapporti con le famiglie delle sue allieve e ottiene aiuti per chi ne ha bisogno.  Molto attiva nell’insegnamento, nel 1931,  viene nominata membro del  Consiglio Locale della Scuola Primaria di cui in seguito diventa  Presidente  (1935).

AlunneIn questi anni di  entusiasmante impegno partecipa attivamente alla vita dell’Istituzione presenziando a Siviglia alla II Assemblea dell’Associazione delle Cooperatrici  all’Istituzione Teresiana e nel ’35 presenzia a Leon alle “Giornate per le Maestre Insegnanti nella Scuola Pubblica” dirette da San Pedro Poveda fondatore dell’Istituzione.

Gli anni del quarto decennio del secolo, quelli che interessano la nostra storia (1931 Seconda Repubblica – 1936 Guerra Civile)  sono segnati dalla storia travolgente della Nazione che conosce diverse situazioni nelle diverse regioni ferite da ideologie contrastanti :  repubblicani, monarchici, borghesi, liberali, sinistra, radicali, socialisti, comunisti, falangisti, anarchici, cattolici.

Il disinteressato impegno di Victoria, perseguito con tutti e per tutti, non viene capito.  La morte non sarebbe stata una sorpresa per Lei. Fin dal suo arrivo ha avuto il presentimento che la morte l’avrebbe colta  a Hornachuelos.

vedi:      20 luglio 1936

L’11 agosto 1936 due uomini armati si presentano alla porta della casa di Victoria chiedendole di seguirli alla sede del Comitato per una deposizione.  Non tornerà più.

vedi:      Arresto di Victoria

All’alba del  12 agosto, dopo una penosa marcia di 12 chilometri per sentieri sassosi, con diciassette uomini giunge infine al luogo della morte. Victoria, unica donna, assiste pregando intensamente all’esecuzione sommaria dei suoi compagni prima di trovarsi faccia a faccio con la decisione suprema.

MinaSalvarsi sarebbe stato facile. Bastava una semplice dichiarazione, un grido di negazione della propria fede e sarebbe tornata a casa … In realtà non la era possibile. Con un atto simile avrebbe rinnegato tutta la sua vita, la sua stessa identità. Non posso dire quello che mi chiedete –disse-. Io chiedo quello che sento: Viva Cristo, viva la Madre mia!

Sembrò che il rumore degli spari non riuscisse a spegnere l’eco del suo grido d’amore.

vedi:    Il martirio di Victoria

12 agosto 1936:  Victoria muore come testimone della fede, nella  miniera  Rincòn  Alto, nei dintorni di Hornachuelos, Cordova.

 

Il 10 ottobre del 1993 è beatificata a Roma, da papa Giovanni Paolo II

La sua festa si celebra il 12 agosto.

Mina

Victoria Díez. Ricordo di una maestra

Carmen Fernández Aguinaco. Narcea Edizioni

 

Tutti  gli intenti di liberare Victoria da parte della mamma risultarono vani.

Verso le due del mattino,  il 12 agosto, i prigionieri, con circa quaranta miliziani, furono ammanettati a due a due e condotti verso l'uscita del paese. Secondo il racconto dei testimoni, uscirono dalla porta posteriore della casa di don Paco, attraverso una viuzza dove era stata sparsa della sabbia per evitare lo scalpiccio dei passi nelle vie lastricate di Hornachuelos.


sentieroI racconti sul tragitto nel mezzo della notte dalla casa di don Paco, nel centro di Hornachuelos, fino alla miniera del Rincón, che distava circa dodici chilometri, attraverso un sentiero di montagna, coincidono in molti particolari. Gli unici testimoni oculari furono, evidentemente, gli stessi miliziani e il loro racconto fu ricostruito attraverso frammenti di conversazioni ascoltate sia da Angelita Cárdenas, del "Chiosco di Angelita" che stava all'uscita di Hornachuelos, sia da Maria Jesús Cárdenas Montilla, che abitava vicino all'officina del fabbro e ascoltò i miliziani che ritornavano dalla miniera.

Naturalmente quegli uomini non dovevano avere grande interesse nel far apparire Victoria come un'eroina, tuttavia, nei loro discorsi, predominava il ricordo delle parole e dei gesti dell'unica donna del gruppo.

Commentavano come, lungo il percorso verso la miniera, infondeva coraggio ai suoi compagni e diceva loro:

"Coraggio, sbrigatevi, ci aspetta il premio, vedo il cielo aperto"

parole enigmatiche per i miliziani, che evocavano quelle pronunciate dal primo martire della Chiesa, santo Stefano; commentavano come ella sembrasse non abbattersi di fronte a nulla, e come fosse perfino contenta. Sembra che uno dei prigionieri sia morto lungo la strada.

Raccontavano che, uscendo dal paese, i prigionieri si erano disposti vicino al muro del cimitero, pronti ad essere fucilati lì. Ma il luogo era troppo vicino al paese e si sarebbero sentiti gli spari nel silenzio della notte; così i miliziani ordinarono loro di andare verso la fattoria e la miniera del Rincón.

La salita era difficoltosa per il sentiero pieno di sassi. Alcuni uomini del drappello dissero che Victoria perse un tacco e dovette fare una parte della strada scalza.

Incominciava ad albeggiare quando finalmente arrivarono alla vecchia miniera del Rincón. Lì, in una casupola, venne effettuato il processo che confermava semplicemente quello che tutti, prigionieri ed accusatori, sapevano già, ossia che l'unica sentenza possibile era la morte.

La fossa della miniera ha un'imboccatura rettangolare ed è abbastanza profonda. Ogni prigioniero si metteva davanti alla fossa e, dopo che gli avevano sparato, cadeva sopra il prigioniero precedente, e via di seguito. 

Victoria fu l'ultima.

cripta

Il momento finale è molto drammatico; è intriso di attesa e perfino di speranza di poter salvare l'unica donna del gruppo. Sarebbe stato così facile... pensavano. Bastava un grido di adesione alla causa e avrebbe potuto salvarsi. Bastava mettere da parte l'ostinazione di confessare la sua fede e sarebbe ritornata a casa sua, da sua madre, alla sua scuola. Ma  "la maestrina era molto ostinata", commentavano gli uomini, sconcertati dalla sua fermezza.

Non era l'ostinazione a mantenere salda la volontà di Victoria. Non era la fermezza a farle confessare l'impossibilità di tradire il suo credo più profondo. Era la forza misteriosa che sostiene la debolezza. Era la forza che ella tanto aveva ammirato nei martiri e che ora riconosceva nel proprio cuore.

Ci fu un momento in cui pensarono che forse, finalmente, stesse per cedere. Alzò le braccia. Sbalorditi, la sentirono gridare, non il grido che si auguravano, ma quello che scaturiva dalla sua fede: "Viva Cristo Re e viva mia Madre". E mostrava, chiusa nella mano, la statuina della Madonna, molto consumata, che l'aveva accompagnata fin lì. Un secondo dopo, due spari, alla testa e allo stomaco, trasformarono finalmente tutto in un rosso di fuoco, sangue e luce.

Albeggiava sullo scenario formato dalle colline che facevano corona al luogo in cui si trova la miniera del Rincón. "Vedo il cielo aperto", aveva detto Victoria lungo la strada, come un presagio. 

Ora, sulla tomba che conserva il suo corpo nella catacomba di Cordova, solamente un nome, che è un trionfo: VICTORIA

casa D Paco
Victoria Díez. Ricordo di una maestra

Carmen Fernández Aguinaco. Narcea Edizioni

 
Passarono così ventitrè giorni, fino all'11 agosto, quando i miliziani vennero a cercare Victoria con la scusa di doverla interrogare...

Nei primi giorni della guerra regnavano il disordine e l'anarchia. Anche tra i miliziani esisteva una diversità di opinioni su come si dovesse agire con i detenuti. Alcuni pensavano che si dovessero uccidere subito, prima che le truppe del Movimento avanzassero e giungessero nei paesi isolati, come in effetti accade rapidamente. Altri pensarono che si dovesse attendere gli ordini e processare legittimamente gli accusati. Sembrò prevalere la necessità di agire prima dell'arrivo delle truppe.

Quando i miliziani arrivarono a casa di Victoria lei chiese con calma il permesso di cambiarsi d'abito e usci. Dalla casa di Don Paco, dove le destinarono una stanza di versa da quella dove si trovavano gli uomini, riuscì, attraverso un'inferriata, a passare un bigliettino piegato ripetutamente, ad una bambina della scuola, perché lo consegnasse alla mamma che aveva cercato di seguirla. Le diceva: 

"Mammina, non abbia paura; rimango qui fino a quando non sarò interrogata; sono in casa di don Paco. Un abbraccio; non si agiti, abbia fede. Agostina, abbi cura di lei, non esca se non con te".

Agostina e la mamma accorsero subito e, attraverso l'inferriata, senza parlare, secondo il racconto dei testimoni, si scambiarono un bacio che, almeno per Victoria, fu senz'altro coscientemente un bacio di addio...

 

 

Victoria
Victoria Díez. Ricordo di una maestra

Carmen Fernández Aguinaco. Narcea Edizioni

 

Victoria, che ha ricordato tanto la sua prima comunione, ha avuto  ventitrè giorni per pensare alla sua comunione ultima e forse all'inizio di una nuova vita. Tempo per accettare e per decidere. O semplicemente per confermare le molteplici adesioni e decisioni prese in tante comunioni della sua vita... nei ventitrè giorni che passarono tra l'arresto di don Antonio e il suo, Victoria avrebbe avuto un tempo più che sufficiente per andarsene da Hornachuelos. Ma non lo fece.

Il 19 luglio, solamente il giorno dopo l'inizio della guerra, il parroco aveva dovuto sospendere la messa parrocchiale della domenica.

Qualche giorno prima, Josefa Moyano, in visita a Victoria, dice: "Non mostrava di avere paura, diceva che il suo porto era Hornachuelos... "perché conosco l'ambiente del paese"...

Si era appena costituito a Hormachuelos il Comitato della Difesa della Repubblica e il 20 cominciarono le detenzioni di ogni persona sospettata di appoggiare l'insurrezione. Lo stesso giorno 20, di mattina, alcuni colpi energici interruppero la messa mattutina. Don Antonio, le sorelle, Victoria e sua madre, uscirono frettolosamente dalla porta posteriore della Chiesa e, passando per il vicolo, entrarono nella casa del parroco. Li consumarono l'Eucaristia.

Più tardi alcuni uomini vennero ad arrestare don Antonio e lo condussero a casa di Don Paco Gamero Civico, trasformata in una prigione improvvisata. Insieme con lui portarono altri sedici uomini del paese, commercianti, agricoltori e uno dei maestri dei bambini.

ScuolaIn un primo tempo Victoria e la mamma rimasero nella casa di un vicino del parroco, insieme alle sorelle del sacerdote. Ma poi sembra che la prudenza abbia consigliato alle donne di tornare a casa di Victoria, dove passarono i giorni successivi. In un ambiente di catacomba, sopperivano alla mancanza dell'Eucaristia condividendo la Parola, la fede e il coraggio per il percorso che ancora le attendeva e che Victoria offriva alle sue compagne senza sosta né stanchezza. Sotto la guida di Victoria, che le riunisce in diversi momenti della giornata, formano una piccola comunità che prega e legge vite di martiri, la qual cosa irrita la madre di Victoria che ha già i nervi a pezzi. Si adoperano come possono per aiutare don Antonio. Per portargli da mangiare devono quasi eludere la vigilanza della madre, che è terrorizzata. Un giorno, in mezzo alla biancheria stirata che portano a don Antonio, Victoria introduce un fazzoletto su cui scrive: "La sua strada è il martirio. Per amor di Dio non venga meno"... La telefonista del paese racconta che in tutto questo tempo sentì Victoria pronunciare sempre parole di perdono e di incoraggiamento.