SIAMO TUTTI  METICCI !

 

Una fiaba di un anonimo indiano racconta:



C’erano una volta dei saggi che vivevano insieme in una piccola città. I sei saggi erano ciechi. Un giorno fu condotto in città un elefante. I sei volevano conoscerlo, ma come avrebbero potuto?


Io lo so - disse il primo saggio - lo toccheremo.


- Buona idea – dissero gli altri - così sapremo com’è un elefante.


I  sei andarono a vedere l’ elefante.


Il primo toccò l’orecchio grande  e piatto dell’elefante. Lo sentì muoversi lentamente avanti
e indietro. --L’elefante è come un ventaglio –proclamò.


Il secondo toccò le gambe dell’elefante - E’ come un albero – affermò.


- Siete entrambi in errore – disse il terzo- l’elefante è simile a una fune. Egli stava toccando la coda dell’elefante.


Subito dopo il quarto toccò con la mano la punta aguzza della zanna.- L’elefante è come una lancia – esclamò.


- No, no – disse il quinto –è simile ad un’alta muraglia. Aveva toccato il fianco dell’elefante.


Il sesto aveva afferrato la proboscide - Avete torto, disse – l’elefante è come un serpente-.


E così i sei saggi per un’ora continuarono a urlare l’uno contro l’altro perché ognuno voleva avere ragione e non riuscivano a trovarsi d’accordo. Finalmente arrivò uno che ci vedeva.


- Avete tutti ragione – disse - infatti tutte quelle parti insieme sono l’elefante.


Questo racconto è  molto significativo perché ci obbliga  a porci delle domande, a mettere in dubbio le nostre certezze e ci fa capire che non esiste un solo punto di vista per conoscere la realtà, ma che anche l’altro che la pensa diversamente da noi può avere ragione e, soprattutto, che l’ascolto degli altri può portarci a scoprire una realtà nuova e più ricca.


Negli ultimi decenni guerre e migrazioni ci hanno drammaticamente messo in rapporto con l’altro senza che fossimo preparati all’incontro e, per di più, l’altro con cui veniamo in contatto ha una cultura e una storia diverse, parla una lingua diversa dalla nostra, spesso ha un colore di pelle diverso e invoca Dio con un nome diverso dal nostro.


In tale contesto è di capitale importanza scoprire che l’incontro fra culture, l’interculturalità,  è una grande opportunità che apre orizzonti nuovi e insperati. Nel corso dei secoli l’incontro con le altre culture si è realizzato con modalità differenti. La prima, la più terribile e più praticata, è stata quella di distruggere l’altro perché considerato un potenziale pericolo per la nostra identità: la distruzione ha assunto talvolta la forma di una destrutturazione culturale che ha tolto a una civiltà la fiducia nel proprio valore; altre volte invece, ha assunto la forma più drammatica della eliminazione fisica, come è avvenuto ai tempi della Conquista o della tratta dei neri. Un’altra modalità di incontro con l’altro apparentemente più innocua, consiste nel trovargli un posto all’interno dello schema che noi abbiamo preparato. Noi occidentali, per esempio, siamo convinti che il modello occidentale sia l’unico vero e che sia giusto spingere –anzi, spesso, costringere- gli altri a entrarvi; siamo convinti di rappresentare il progresso, la civiltà, mentre gli altri non ci sono ancora arrivati, sono ancora “in via di sviluppo” e non ci rendiamo conto che l’atteggiamento di trovare agli altri un posto nel nostro schema pretendendo che l’altro si accomodi nel luogo che gli abbiamo riservato e faccia il piacere di non disturbare, non è in fondo che un residuo di colonialismo ed equivale a sottrarre all’altro la propria identità.


Lentamente, nel corso della storia, si è fatto strada anche un altro modo di affrontare l’altro, il diverso, che consiste nell’ascoltarlo e nel lasciarsi fecondare da lui. E’ l’unico atteggiamento che permette all’altro di essere se stesso, di esprimersi in verità e non essere ridotto a oggetto di studio, di comprensione o addirittura di carità.


Costruire ponti di comprensione tra una cultura e l’altra è la grande sfida e la grande possibilità del nostro tempo: è una meta, un progetto irrinunciabile per realizzare la civiltà del convivere basata sulla integrazione delle differenze, nel dialogo e nel rispetto reciproco.
Si tratta di promuovere una educazione culturale che assuma e pratichi l’interculturalità come “normalità”, faccia cioè diventare  il dialogo parte integrante della vita quotidiana. In questo nuovo millennio gli orizzonti di tutte le culture si stanno enormemente allargando e per tutti si moltiplicano le possibilità di incontri. Se siamo capaci di saper utilizzare in modo positivo i conflitti che inevitabilmente questi incontri producono, allora sarà possibile costruire il nuovo e salvaguardare, al tempo stesso, la specificità e il valore di ciascun soggetto e delle diverse culture.


Interculturalità significa arricchimento del sapere, ampliamento di orizzonti, apertura di nuovi varchi e codici culturali, capacità di saper vivere con gli altri, nella diversità e nell’integrazione tra le diversità. È sviluppare un pensiero aperto e flessibile, capace di decentrarsi, di allontanarsi dai propri riferimenti cognitivi e valoriali e dirigersi verso quelli di altre culture per scoprirne e comprenderne le differenze e le connessioni e poi tornare nella propria cultura arricchito dall’esperienza del confronto e pertanto in grado di valutarne con maggiore consapevolezza critica gli aspetti positivi e  negativi.


L’interculturalità richiede – come sostiene il pedagogista Franco Cambi - una mescolanza dalla quale scaturisce una identità comune e nuova perché migrante, nomade, meticcia. E il “farsi meticci” è valore. Meticciato, infatti, significa “accogliere le ragioni dell’altro, le forme della sua identità, i caratteri della sua cultura, poiché proprio il dialogo trasforma, miscela, apre spazi di scambio, crea comunicazione. Bisogna imparare ad accettare la parzialità della nostra verità che non è mai totalizzante, assoluta, esclusiva, definitiva. Siamo abituati a studiare la cultura e  la storia degli altri dal nostro punto di vista, secondo cioè i nostri schemi e ragionamenti, ma dobbiamo apprendere ad ascoltare l’interpretazione che gli altri danno di se stessi e accettare che essi leggano la nostra storia e la nostra cultura con i loro schemi e i loro ragionamenti. L’ascolto reciproco potrà essere enormemente arricchente.


E tu? Sei “meticcio
?

Anna Paola

 

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