Gesù, Maestro di preghiera I (5 febbraio 1920)

Immaginiamo la scena riportata da san Luca: Avvenne che, mentre stavano a pregare in un luogo, alla fine uno dei discepoli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegnò ai suoi discepoli» (Lc 11,l).

Gesù si avvale, nella sua meravigliosa lezione, di un paragone così semplice, a tutti comprensibile. Non un figlio che chiede al padre né un bisognoso che chiede per i suoi figli, ma un amico che chiede a un altro amico e chiede per un viandante con il quale non ha alcun vincolo di amicizia. Si presenta e chiede a mezzanotte, ora importuna e inopportuna, quando la porta è chiusa, quando incombe il silenzio della notte, quando il padrone di casa e i suoi dormono o, almeno, sono a letto. Non chiede una medicina per un malato né un aiuto per salvare la vita a chi si trova in pericolo, ma chiede tre pani.

Queste circostanze, ben meditate, ci aiutano a conoscere l'efficacia della preghiera, anche se pronunciata in simili condizioni di luogo, di tempo, da simili persone e per questi motivi. Ma la considerazione di ciò che consegue e la differenza di situazioni, danno più forza alla sua efficacia. Perché quando noi preghiamo, non è come se un amico chiedesse ad uno per un altro, ma è il figlio che chiede al padre, giacché nella preghiera ci rivolgiamo a Dio, che è nostro Padre; e non ci rivolgiamo a lui in ora inopportuna, poiché per Dio tutte le ore sono opportune: egli sempre si compiace nell'ascoltare le sue creature.

Noi, invece, tralasciamo di chiedere a Dio, che è nostro Padre. Ha una giustificazione il nostro comportamento? Con quali argomentazioni sosteniamo la nostra mancanza di preghiera?

L'amico insiste nel chiamare: sembra non far caso al silenzio dell'amico. Questi, non per il desiderio di accontentarlo, ma per liberarsi dal fastidio che gli procura l'insistenza di chi chiede, si alza e gli dà, non solo tre pani, ma tanti quanti ne ha bisogno.

Se la perseveranza, pur trattandosi di un semplice amico, e per una ragione così egoista, come è quella di non volere essere disturbato, ottiene ciò che chiede e anche di più, che cosa non otterrà la preghiera assidua e perseverante rivolta da un figlio al padre e per ottenere non pochi pani, ma doni e grazie spirituali, consolazioni, pazienza, fortezza e tutte le virtù?

Molte volte rileggiamo questo o quel capitolo dei libri sacri, ma leggiamo in modo tale da abituarci ad ascoltare parole di tanta trascendenza, come quelle che stiamo meditando, senza trarre da queste lezioni divine il dovuto profitto. Che cosa ci trattiene dal pregare? Perché non insistiamo nella nostra preghiera? Quale povero smette di chiedere quando ha la sicurezza di ottenere quanto chiede? Forse non importuniamo fino alla noia gli amici per ottenere un bene materiale? Trattandosi, poi, di grazie e di favori così necessari, perché veniamo subito meno? Perché, pur avendo l'assoluta certezza di essere ascoltati tralasciamo di chiedere?

Dico a voi, ai miei discepoli, a coloro che sono miei, a coloro che tanto amo: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi si aprirà (Lc 11,9).

Non è più possibile dirlo con maggior chiarezza né in modo più determinato. Avete necessità? Perché vi sia dato non occorre altro che chiedere. Che cosa vorreste trovare? Ciò che pretendete trovare lo troverete cercandolo.

Quindi, quando non ho più ricevuto ciò di cui avevo bisogno è stato perché ho omesso di chiedere, tutte le volte che non ho più trovato quanto desideravo è stato perché non l'ho cercato, quando ho trovato le porte chiuse è stato perché non ho chiamato.