Io sono la vite, voi i tralci (1925)

Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può dare frutto da se stesso, se non rimane nella vite, così neppure voi, se non rimanete in me (Gv 15,4).

Rimanete in me. Questo ve lo chiede Gesù stesso. Egli vi offre ospitalità, vi chiama, vi invita, vi sollecita. Non state - vi dice - nel mondo né con il mondo, ma in me. Stare in Gesù. Quale fortuna incomparabile!

E aggiunge: «E io in voi». Lui sì, compie la promessa. Se ci consegnassimo completamente a Gesù, nella misura in cui lui si dona a noi! Purtroppo noi, avari e meschini, in rapporto a quanto lui ci dona, tutto di valore infinito, gli concediamo qualcosa e crediamo sia grande cosa quanto diamo e persino chiediamo immediatamente una ricompensa. Bisogna dare secondo quanto si riceve.

Come il tralcio non può dare frutto da se stesso, se non è unito alla vite. Quando il tralcio si stacca dalla vite, è strappato, è tagliato, subito secca. Finché stava unito alla vite era verde, fresco, portava frutto; era qualcosa di apprezzabile perché riceveva dalla vite la linfa, il frutto, la vita vegetativa; poi marcisce, secca ed è buono solo ad essere gettato nel fuoco. Quanto è fondamentale questo insegnamento!

Così voi, se non rimanete in me. Bisogna rimanere in Cristo; quanto più si è uniti alla vite, tanto maggiore sarà il frutto del tralcio. Questa è la misura del frutto: l'unione. Non dà più frutto quello di maggior talento, il più simpatico, il più prudente secondo il mondo, il più studioso, il più amabile; lo dà quello che è più unito a Cristo; quello che vive l'unione perfetta, completa e perseverante. Sono concetti così fondamentali, che lo Spirito Santo, tramite san Giovanni, li ripete più volte nello stesso capitolo, quasi ad indicare quanto dobbiamo fissare su di essi la nostra attenzione.

Prosegue nel versetto seguente: chi rimane in me e io in lui, costui porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Non dice «senza di me» potete fare poco, farete meno; dice che senza di lui non possiamo fare nulla. Senza di lui non si può far nulla, assolutamente nulla; quello che si può fare, si può fare solo per lui ed a lui si deve dare gloria e azione di grazie.

Orbene, chi sta in lui, questi porta molto frutto. Non dice qualche frutto né frutto soltanto, ma molto frutto. È chiaro che, se uno sta in Dio e Dio sta in lui, è Dio che fa tutto e la linfa divina scorre in questo tralcio. Come si vedono queste cose! Come si notano i frutti delle persone che vivono unite a Dio, compenetrate, inondate, possedute dallo spirito di Dio! Quanto dicono, fanno, insegnano, pur apparentemente uguale a quanto dicono, fanno o insegnano gli altri, ha in sé tutta una virtualità, la linfa di Dio, una modalità, un quid inconfondibile che edifica, attrae, eleva, perfeziona.

Gli uomini e le donne di Dio sono inconfondibili. Non si distinguono perché sono brillanti o affascinanti né per la loro forza umana, ma per i frutti di santità, per ciò che percepivano i discepoli sulla strada di Emmaus, quando camminavano insieme al Cristo risorto, che non riconoscevano, ma della cui presenza avvertivano gli effetti. Lo spirito di Dio è soave, è spirito di pace, di ordine e così i frutti dei tralci che stanno uniti alla vite e da essa ricevono la linfa celeste. Frutti molte volte inapprezzabili esteriormente, che la persona non si propone in maniera cosciente, ma che sgorgano in virtù della grazia, dal momento che Dio si serve di un esempio, di una parola, di un'azione qualunque del suo apostolo, della persona in cui dimora.

Ciò che è imprescindibile, assolutamente necessario è vivere uniti a Dio, essere di Dio. Se studiassimo bene la storia del cristianesimo, incominciando dalla vita di Cristo, vedremmo tutto diversamente, non saremmo così umani né porremmo tante speranze nelle cose umane. Quando si diffonde il cristianesimo? Quando l'unico che lo predicava muore ignominiosamente, cioè quando umanamente avrebbe dovuto estinguersi. Quando si moltiplicano i cristiani? Quando gli imperatori li perseguitano, li sottopongono al martirio e li uccidono. Chi insegna e permette che si affermino dottrine ammirevoli e una morale sublime? Uomini rozzi, senza prestigio né autorità.