La mitezza, ordine categorico (1935)

 

Imparate da me che sono mite (Mt 11, 29). Dice il grande Padre sant'Agostino che nostro Signore non ci ha mai detto di imparare da lui a creare mondi né a fare miracoli, ma il suo ordine categorico e tassativo è stato questo: Imparate da me ad essere miti.

Benedetta mitezza, benedetta virtù invincibile, come dice san Giovanni Crisostomo. Ciò, detto da lui, che forza ha!

Dice san Giovanni Climaco che la mitezza incatena l'inferno, dà la forza per governare la famiglia religiosa, e il sostegno all'obbedienza, è la corona dei santi, la pace della coscienza.

Un altro santo Padre, parlando della mitezza, la chiama: “Una certa abilità dello spirito, in virtù della quale siamo equanimi, sia quando ci onorano sia quando ci oltraggiano, che ci dà la forza di pregare per quelli che ci fanno soffrire”.

La portata della forza del cuore è proporzionale a quella della mitezza, dice un altro santo Padre.

Perché scrivo queste note sulla mitezza?

Perché ritengo che il momento presente esiga, in modo particolare, l'esercizio di questa virtù.

Perché la considero arma decisiva per la vittoria della causa di Dio.

Perché le ingiustizie, la ribellione, la confusione, il disprezzo delle cose sante provocano ira e rendono amaro ed aspro lo zelo.

Perché, contagiati dal nervosismo attuale, vogliamo il bene, ma ci mettiamo sullo stesso piano di quelli che operano il male, almeno nel modo di procedere.

Perché ci dimentichiamo della situazione attuale dei giovani e, a volte, usiamo mezzi controproducenti per guidarli e formarli.

Perché desidero che meditiate a fondo su questa virtù e chiediate a nostro Signore di esservi maestro.

Io avrei aggiunto ancora un motivo, ma non lo aggiungo sulla carta, lo dico a voce: è il mio desiderio di acquisire la mitezza.

Tra l'Antico e il Nuovo Testamento incontriamo Giovanni il Battista che, nell'indicare Cristo, non dice: Ecco il Leone della tribù di Giuda (Ap 5, 5), ma ecco l'Agnello di Dio (Gv 1,29). Gesù Cristo in seguito esalterà la mitezza e dirà: «Imparate da me che sono mite» (Mt 11, 29).

Per comprendere bene questa mitezza non dovete fare altro che pensare al momento in cui ci fanno una brutta faccia, un gesto; ci danno una risposta tagliente [...]; come affluisce il sangue alla testa; ciò, anche quando ci consideriamo le persone più inutili; tuttavia, l'Onnipotente accoglie tutto e tace. Gesù sulla croce sente dire: Chiama Elia (Mt 27, 47). Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce. Tu che hai salvato tanti, salva te stesso (Lc 23, 35). Gesù, inchiodato al santo legno, mentre dà la sua vita, per tutta risposta dice: «Padre, perdonali» (Lc 23, 35). Queste ingiurie verbali, che sono molte, possono servirvi come spunto per meditare su tutte le ingiurie che egli ricevette.

Arriviamo al momento culmine, alla crocifissione. Persino il cattivo ladrone, appeso alla croce, proferisce ingiurie contro Gesù. Che cosa dice Gesù? Tutte le sue parole sono lontane da vendetta e da indignazione. A ragione Gesù dice: Imparate da me!. A ragione i santi dicono che la mitezza è invincibile, che i successi della Chiesa si devono a questa virtù! Tuttavia, pur riconoscendo la grandezza di questa virtù, troviamo pretesti per non praticarla e adduciamo come giustificazione l'autorità, la disciplina, la formazione. Consideriamo che Gesù Cristo, che conosceva quali difficoltà avremmo incontrato, al momento di inviare i suoi apostoli nei diversi luoghi, invece di dire loro: vi invio come leoni, disse loro: Vi invio come agnelli in mezzo ai lupi (Lc 10,3). Dunque, ciò che egli disse ai suoi apostoli io torno a dirlo a voi e a tutti coloro che si dedicano all'apostolato.