Madrid (1921-1936)
San Pedro Poveda

Nel 1921 don Pedro Poveda si stabilì a Madrid, essendo stato nominato cappellano reale.

In questa città svolse diversi incarichi: nel 1922 fece parte della Commissione Centrale contro l’Analfabetismo; in questo stesso anno fu nominato arciprete di Vic ed in seguito di Burgo de Osma (Soria), in cambio del suo incarico nella Cattedrale di Jaén, dispensato di risiedervi per poter svolgere il lavoro che gli era stato affidato a Madrid. Dedicò parte della sua attività a consolidare l’Istituzione Teresiana che continuava a diffondersi.

Nel 1919 Maria Josefa Segovia era stata nominata prima direttrice generale, e in quegli anni l’Opera rimase definitivamente configurata nelle sue

finalità e nella sua complessa organizzazione, che comprende, in una sola Istituzione, un nucleo di donne pienamente impegnate nella missione con una donazione totale a Cristo e diverse associazioni cooperatrici.

La finalità educativa e culturale ha come base la speciale attenzione alla formazione cristiana, umana e professionale di tutti i membri e come caratteristica principale la presenza nei posti statali.

Ottenuto un considerevole sviluppo geografico e organizzativo, ben definito lo spirito che doveva animarla ed i modi e le forme di realizzare la missione, l'Associazione di Laici "Istituzione Teresiana", fu presentata a Roma da alcuni dei suoi membri per l'approvazione pontificia che ottenne definitivamente con il Breve Inter Frugiferas, del Papa Pio XI, l'11 gennaio 1924.

Aumentando il numero di studentesse e studenti universitari, nella terza decade del secolo XX, don Pedro Poveda si interessò vivamente a questo settore. Aprì nuove residenze e creò Associazioni come la Lega Femminile di Orientamento e Cultura; prestò continua attenzione al movimento culturale e partecipò, come uno dei principali promotori, al progetto di creare una Università Cattolica nella Spagna, secondo lo stile di quelle che si stavano fondando in diversi paesi europei. Nel 1930 si rivolgeva in questo modo alle universitarie presentando loro l'aspetto più genuino del carisma dell'Istituzione Teresiana: "Nel nostro programma, dopo la fede, o meglio, insieme alla fede, poniamo la scienza. Siamo figli del Dio delle Scienze, di cui dice la Sacra Scrittura 'Deus Scientiarum, Dominus est'. L'autore della fede e della scienza è uno solo, Dio; ed il soggetto della fede e della scienza è la creatura umana. Così come l'altro giorno vi dicevo che dovette essere donne di grande fede, di fede viva, di fede vissuta, e vi chiedevo di non dire mai: non più fede, così vi dico oggi: desiderate la scienza, impegnatevi per acquistarla e non stancatevi mai, né dite mai: non più scienza. La molta scienza porta a Dio, la poca ci separa da Lui".

Educatore di vita cristiana e dei rapporti tra fede e scienza, uomo di profonda preghiera e solidale con i più bisognosi, era convinto che i cristiani dovevano contribuire col loro sforzo alla costruzione di un mondo migliore e più fraterno per tutti, motivo per cui favorì la presenza di uomini e donne di fede in diversi ambiti culturali e della società.

Collaborò alla fondazione dell'Opera del Divino Maestro che riuniva educatori; lavorò attivamente nell'Azione Cattolica come Consigliere Nazionale dei Padri di Famiglia e per speciale incarico del Cardinale Primate, come organizzatore dei Giovani Studenti Universitari; fu uno dei soci fondatori della F.A.E. (Federazione di Amici dell'Insegnamento); organizzò settimane ed incontri pedagogici; fece parte del Consiglio di Redazione della rivista "Atenas"; sviluppò piani per l'apertura di scuole nelle zone rurali più abbandonate e favorì la collaborazione di maestre dell'Istituzione Teresiana nelle missioni popolari, promosse dall'episcopato, per gli emigrati spagnoli nel sud della Francia. Inoltre, dal 1930 appartenne alla "Fraternità del Rifugio" che prestava soccorso a poveri, vagabondi e malati.

Considerato uomo prudente e di pace, di virtù solida e buon consigliere, di carità eroica, semplice, uomo di dialogo e profondamente umile, don Pedro Poveda seppe offrire la sua matura esperienza a giovani sacerdoti, religiosi e secolari, alcuni dei quali iniziatori di opere che si consolidarono successivamente, che ricorrevano a lui in cerca di orientamenti, suggerimenti, appoggi.

"Tutti dobbiamo cooperare"; "C'è posto per tutti, posto per ognuno e campo di azione dove poter lavorare"; sono frasi dei suoi primi scritti il cui contenuto seppe sempre tradurre in pratica, e che spiegano e danno senso pieno al suo costante atteggiamento di collaborazione.

Anche senza far parte degli organismi direttivi dell'Istituzione Teresiana, negli ultimi anni della sua vita, si dedicò intensamente, da fondatore, ad aprire nuovi campi ai diversi aspetti della sua missione, a dare impulso a quest'Opera che esprimeva nella Chiesa un carisma molto nuovo ed efficace, ed ad assumere gli accorgimenti necessari per impedire che il tempo o le diverse circostanze potessero farle perdere la propria identità.

"L'Opera deve essere ora e sempre come è stata pensata fin dal principio - diceva. Santità più che mai; virtù solide a costo della vita". E si rafforzava in ciò che era stato detto poco dopo l'approvazione pontificia dell'Istituzione Teresiana: "'Pia Unione Primaria'. Un'Associazione minima nell'ordine canonico, ma quanto è grande la loro missione! quanta santità si chiede loro!".

Non gli rimanevano molti anni di vita, ma in essi si compì precisamente quello che era stato per lui un atteggi amento costantemente mantenuto, perché il sacerdote è un uomo di Dio per gli altri: "Bisogna farsi tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo. Se c'è da vegliare si veglia; se c'è da soffrire, si soffre; se c'è da umiliarsi, ci si umilia; se c'è da chiedere l'elemosina la si chiede, se c'è da ammalarsi ci si ammala; se c'è da morire, si muore".

"lo vi chiedo un sistema nuovo, un nuovo metodo e procedimenti tanto nuovi quanto antichi ispirati all'amore" soleva dire agli educatori. E ancora, già alla fine della sua vita nel 1935: "con dolcezza si educa, con dolcezza si insegna, con dolcezza si ottiene la correzione, con dolcezza si evitano molti peccati, con dolcezza si governa bene, con dolcezza si fa bene ogni cosa". E' questa la chiave della più genuina pedagogia povedana, l'unico metodo che volle e seppe offrire, affermando, sin dagli inizi (1912): "Bisogna fare in modo che ogni alunno dia di sé tutto ciò che di buono può dare e non è facile ottenerlo senza un clima di libertà. Per educare bisogna conoscere la persona che si educa; senza questa conoscenza i mezzi più eccellenti risulteranno infruttuosi".

Don Pedro Poveda, educatore convinto ed efficace, con una sicura abilità nel dare orientamento, prudentemente audace, amabile e cordiale, ebbe sempre fiducia nei giovani. "Chi sono i più valorosi, intrepidi, coraggiosi, audaci?

I giovani. Chi sono coloro che hanno ideali, coloro che dimenticano se stessi? I giovani. Voi mi chiederete ora cosa potete fare. Oh gioventù, arma potente, braccio quasi onnipotente, forza del mondo! Questa sia la vostra prima riflessione. Siamo giovani: possiamo tutto. Siamo di Dio: possiamo fare tutto ciò che è buono". Scriveva queste parole nel 1933, quasi alla fine della sua vita, sintetizzando un itinerario nel quale la gioventù aveva sempre occupato il suo interesse e la sua attività.

"Credere fermamente e tacere non è possibile. Ho creduto, per questo ho parlato. Cioè, la mia convinzione, la mia fede non è vacillante, è ferma, incrollabile, e perciò parlo. Coloro che credono di poter conciliare un silenzio riprovevole con la fede sincera pretendono l'impossibile", diceva nel 1920 a tutti coloro che si consideravano discepoli di Cristo Gesù, e aggiungeva: "I veri credenti parlano per confessare la verità che professano, quando devono, come devono, davanti a chi devono e per dire ciò che devono". In questo modo: "seriamente, senza provocazione, ma senza vigliaccheria; senza petulanza, ma senza pusillanimità; con carità, ma senza adulazione; con rispetto, ma senza timidezza; senza ira, ma con dignità; senza ostinazione, ma con fermezza; con coraggio, ma senza temerarietà".

Poteva esprimersi così perché questa era stata e continuava ad essere la sua esperienza personale. Si riferiva a una manifestazione della propria fede che in molte occasioni doveva essere espressa con parole e con fatti e sempre come il tralcio che è unito alla vite, lasciando scorrere la vita che circola nel suo interno: "Gli uomini e le donne di Dio sono inconfondibili - sosteneva don Pedro nel 1925 - non si distinguono perché sono brillanti, né perché splendono, né per la loro forza umana, ma per i frutti santi, per quello che sentivano gli apostoli sulla strada di Emmaus quando camminavano in compagnia di Cristo risorto, che non conoscevano, ma sperimentavano gli effetti della sua presenza". La stessa cosa potrebbe dire a noi, cristiani di oggi.

Con la chiara coscienza dell'universalità di questo carisma incoraggiò anche l'espansione geografica dell'Opera, intensificando le relazioni con organizzazioni internazionali e iniziando la presenza dell'Istituzione Teresiana fuori dalla Spagna: in Cile nel 1928 e poco dopo in Italia nel 1934.

Il desiderio di vivere la sua fede fino al dono della propria vita, se fosse stato necessario, manifestato in alcune occasioni, aveva generato in lui una autentica spiritualità martiriale.

"Umiliazioni, abbattimenti, contrarietà, persecuzioni, sofferenze, martirio, tutto ciò è una legittima conseguenza"- aveva scritto nel 1920 - dell'essere coerente con la fede.

La circostanza concreta, la dura persecuzione religiosa in Spagna sin dal 1931 inasprita nel 1936, fu solo un'occasione che mise in evidenza ciò che già si era consolidato dentro di lui. In quegli anni difficili di tanto estremismo e dolore insistette continuamente sulla non violenza.

Diceva: "non bisogna farsi illusioni; la mitezza, l'affabilità, la dolcezza, sono virtù che conquistano il mondo". E inoltre: "Ora è tempo di raddoppiare la preghiera, di soffrire meglio, di abbondare nella carità, di parlare di meno, di vivere molto uniti al Signore, di essere molto prudenti, di consolare il prossimo, di incoraggiare i pusillanimi, di prodigare misericordia, di vivere fiduciosi nella Provvidenza, di avere e dare pace".

Il 27 luglio 1936 appena terminata la celebrazione della Messa, fu arrestato nella sua casa di via Alameda di Madrid. Non negò la sua identità davanti a coloro che andarono a prenderlo: "Sono sacerdote di Cristo".Los Negrales

Alcune ore dopo, al momento di essere separato da suo fratello, che lo aveva accompagnato, gli disse: "Addio, Carlo, si vede che il Signore, che mi ha voluto fondatore, mi vuole anche martire".

Il giorno dopo, una professoressa ed una giovane dottoressa dell'Istituzione Teresiana, trovarono il suo cadavere vicino alla cappella del cimitero dell'Almudena, con ferite di arma da fuoco. Sul suo petto si vedeva, perforato, lo scapolare della Madonna del Carmelo. Aveva 61 anni.

Trasportarono il suo cadavere al cimitero di San Lorenzo, dove il giorno 29 fu seppellito.

Anche una giovane maestra, appartenente all'Istituzione Teresiana, Victoria Diez y Bustos de Molina, fu martirizzata a Hornachuelos (Cordova) pochi giorni dopo, il 12 agosto dello stesso anno 1936.

La grande fama di santità di don Pedro Poveda, iniziata già in vita e continuata dopo la morte, che fu considerata sin dal principio vero martirio, spinge l'Istituzione Teresiana a chiedere l'istruzione della sua Causa di canonizzazione nel 1955. Conclusi tutti i processi è beatificato dal Papa Giovanni Paolo II a Roma il 10 ottobre 1993 e canonizzato a Madrid il 4 maggio 2003, per le sue virtù e per il suo martirio.

I suoi resti si trovano nella Casa di Spiritualità "Santa Maria", dell'Istituzione Teresiana a Los Negrales (Madrid).

La più genuina sintesi del carisma, del dono di Dio per la Chiesa e per il mondo, ricevuto da chi ben presto definì sé stesso "strumento" nelle mani di Dio, è condensata in questo breve testo, redatto da don Pedro Poveda:

"L'Incarnazione ben intesa, la persona di Cristo, la sua natura e la sua vita offrono a chi lo comprende, la norma sicura per arrivare ad essere santo con la santità più vera, rimanendo al tempo stesso umano dell'umanesimo vero".

Questa affermazione è inserita nella parte finale, conclusiva, di un breve scritto del 1915, reso pubblico nel "Bollettino delle Accademie Teresiane" dell'ottobre 1916 che, riferendosi a Santa Teresa di Gesù, intendeva spiegare il "carattere eminentemente umano di quella vita tutta di Dio".

Questa chiara e forte chiamata alla santità, conseguenza dell'avere ben capito il mistero dell'Incarnazione del Verbo, che trova nella persona di Cristo la chiave di una vita "pienamente umana e tutta di Dio", costituisce il nucleo della spiritualità del sacerdote Pedro Poveda e del carisma dell'associazione di laici da lui fondata, che è l'Istituzione Teresiana. Il resto è sviluppo di questo primo e fondamentale pensiero che presenta, sin da principio, una sottolineatura essenziale. "Fede e scienza" o "spirito e scienza", "preghiera e studio", "maestri virtuosi e sapienti", "fede e cultura" sono alcune varianti del ripetuto binomio povedano, i cui termini si richiamano tra loro, definito da lui "forma sostanziale", "dogma" o volontà fondazionale della sua Istituzione Teresiana. O, detto in altro modo, con parole scritte nel 1932:

"Bisogna dimostrare con i fatti che la scienza si coniuga bene con la santità di vita".

Dello stesso anno, e per gli stessi destinatari, è quest'altra affermazione, che ripete e sottolinea nell'opuscolo "Hablemos de las alumnas" pubblicato nel 1933: "Considero un errore la preoccupazione eccessiva di circondare la giovane studentessa di ogni genere di comodità e di isolarla da ogni contatto con l'umanità povera e bisognosa per evitarle sofferenze e dispiaceri. A che cosa servirà, dopo, una giovane educata così? Quale ruolo avrà nella società, a chi gioverà la sua cultura?".

Egli era convinto della responsabilità sociale che comporta un titolo accademico, e del fatto che i cristiani potevano e dovevano apportare alla società pluralista contemporanea orientamenti, valori e impegno per la costruzione di un mondo più umano, più giusto e solidale. Se fece in modo che gli abitanti delle grotte di Guadix avessero i migliori metodi pedagogici del momento, era perché, nel suo modo di intendere il rapporto fede - scienza, soggiaceva un senso di comunione, di solidarietà e di giustizia capace di incanalare gli sforzi comuni verso un futuro migliore, più consono con la vera volontà di Dio.

Per questo motivo lo stile di questa spiritualità si caratterizza per la semplicità, la gioia, la mitezza, la responsabilità nel lavoro, la capacità di collaborare e l'esigenza costante nello studio, e ha come meta la santità più vera.

"Se sarete donne di fede - diceva alle universitarie - stimerete un dovere primario il compimento dei vostri obblighi e uno di essi è lo studio, il lavoro, il lavoro assiduo che vi rende atte e degne di possedere un titolo che, se da una parte vi fa accedere a posti sociali di importanza e di prestigio, dall'altra vi obbliga ad acquisire il bagaglio scientifico necessario per occuparlo degnamente senza ingannare la società che vi offre questi posti perché suppone che siate adeguatamente preparate".

I numerosi scritti dedicati all'Istituzione Teresiana dal suo fondatore tracciano, dunque, un itinerario che parte dalla radicalità della vita cristiana e presenta alcuni aspetti essenziali come il cristocentrismo, la vita nello Spirito, la solida devozione mariana, il senso profondo di essere Chiesa, e fa dell'educazione e della cultura, specialmente dei più poveri un vero segno del Regno di Dio. La sua spiritualità sacerdotale ha come centro una profonda vita eucaristica dalla quale scaturisce la sua intensa attività apostolica. L'intimità e la identificazione con Cristo Crocifisso, la sua carità eroica con tutti, l'umiltà profonda e la mitezza autentica sono i tratti che caratterizzano questo inconfondibile uomo di Dio.

E come sintesi, o come costante atteggiamento, Pedro Poveda sottolinea l'importanza di bene operare, di essere testimone eloquente dei fatti e della realtà. Sono del 1935 le affermazioni espresse dall'inizio in diversi modi: "la verità é nei fatti, non nelle parole, come diceva San Giovanni: 'Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere, perché in questo consiste il vero amore". Le opere, sì; esse danno testimonianza di noi e dicono con eloquenza incomparabile quello che siamo".

 

1. Linares (1874-1894)

4. Guadix (1894-1905)

3. Covadonga (1906-1913)

4. Jaén (1913-1920)

5. Madrid (1921-1936)