“Padre nostro, venga a noi il tuo regno!”
La lettera dell’anno 2014 della Direttrice Generale dell’Istituzione Teresiana
MANILA, Filippine.
Maite Uribe, Direttrice Generale dell’Istituzione Teresiana, ha reso noto il testo della “Lettera dell’anno 2014”, il cui motto è: “Padre nostro, venga a noi il tuo regno!”.
Lo ha fatto da Manila, Filippine, al termine della sua permanenza in quel paese, dopo aver visitato diverse città e isole, specialmente le zone devastate dal tifone Yolanda. È stata anche a Taiwan, dove l’Istituzione Teresiana sta celebrando i cinquanta anni di presenza.
E’ tradizione nell’Istituzione che, all’inizio di ogni anno, la Direttrice indirizzi a tutti i membri, in tutte le parti del mondo dove l’Opera è presente, una lettera il cui testo sia da guida e ispirazione per tutto l’anno che sta per iniziare, e che si conclude con un “motto” che ciascun membro dell’Istituzione usa ripetere a conclusione o coronamento di ogni momento di preghiera personale o comunitaria.
Per l’anno 2014 l’asse portante della lettera – il cui testo integrale riportiamo in allegato a questo articolo – è il senso e la vita di preghiera come unica forza dell’Opera fondata da san Pedro Poveda: elemento chiave indicato dalla XVII Assemblea Generale, svoltasi nell’agosto 2012 (cfr. la sezione “Parole chiave per il sessennio 2012-2018”).
“Nella Chiesa è entrata un’aria fresca che ha aperto la porta alla speranza. Gesti semplici che segnalano un orizzonte di cambiamenti più profondi: gesti evangelici, che ci aiutano ad andare all’essenziale del messaggio cristiano; gesti profetici che danno priorità ai poveri e agli emarginati; gesti che hanno accompagnato non solo la vita della Chiesa, ma anche quella di molti uomini e donne di buona volontà che hanno intuito che sta forse nascendo qualcosa di nuovo.”
Queste sono le parole con cui Maite Uribe inizia quest’anno la lettera.
Spiegando poi il tema centrale del testo, afferma che “torniamo all’esperienza dei primi discepoli che, come noi oggi, avevano bisogno di sapere come pregare e osarono interrogare Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”.
La Lettera è strutturata in tre parti: la prima ha appunto il titolo della frase prima riportata (“Signore, insegnaci a pregare”), pronunciata dai discepoli e citata nel Vangelo di Luca (Lc 11, 1).
“Quando i discepoli chiedono a Gesù, non tanto che insegni loro una preghiera, ma che insegni loro a pregare, la risposta è un cammino e un orientamento di fondo, li invita a dire “Abba, Padre” e a entrare in una relazione filiale con Dio, la stessa che Egli viveva. Di fatto, ci riconosciamo cristiani nel Padre Nostro.”
Shema’Israel, “Ascolta Israele”. Per il popolo di Israele la fede è fondamentalmente un’esperienza di ascolto, di apertura, di accoglienza, perché Yahvéh, il Dio liberatore in cui ha posto la sua fiducia, è un Dio che si lascia conoscere e riconoscere, un Dio di relazione e di comunicazione. In Gesù questa relazione con Dio si fa più vicina, fino al punto da poter chiamare Dio “Abba, Padre”, frutto della fiducia, dell’abbandono e della donazione di sé, di un amore che si fa presenza, comunione e dialogo.
In questo prima parte Maite Uribe si sofferma sulle origini del Carisma che si sviluppa in una vocazione “con fisionomia propria”, dal sapore Teresiano, in cui Teresa di Gesù è la fondamentale fonte di ispirazione. “L’Incarnazione ben intesa, la persona di Cristo, la sua natura e la sua vita danno a chi lo capisce, la norma sicura per arrivare a essere santo, con la santità più vera, essendo allo stesso tempo, umano, di un umanesimo verità. Essendo così, saremo generosi e la nostra opera sarà simpatica. Modello? Santa Teresa di Gesù” (Pedro Poveda, 1915, Creí por eso hablé 74).
Maite Uribe ricorda anche il sapore di Chiesa primitiva: "il secondo elemento carismatico e fondazionale è il riferimento alle prime comunità cristiane. Negli Atti degli Apostoli troviamo indicazioni importanti per vivere in modo integrato la preghiera e la fraternità.”
Menziona come elemento caratteristico di uno stile, “ecumenismo e comunione”. “Non possiamo dire oggi “Abba Padre” senza desiderare dal più profondo del nostro cuore l’unità di tutti i cristiani e senza cercare nuovi cammini ed espressioni adeguate”.
Il titolo della seconda parte è “Cercate prima di tutto il Regno di Dio”.
“Il Padre Nostro è l’espressione di un grande desiderio: la manifestazione e la venuta del Regno di Dio esplicitato nelle Beatitudini e nelle parabole”.
In questa parte descrive le caratteristiche di “un Regno che è Buona notizia per tutti, ma che trova nei poveri e negli emarginati una priorità, una preferenza e una scelta”. ‘Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli’, dirà Gesù nel vangelo di Matteo, sottolineando che sono beati non perché sono poveri, non solo perché sanno di esserlo, ma perché la coscienza della loro povertà fa loro attendere da Dio la felicità che con le loro forze non possono raggiungere. Felicità che è conseguenza della loro relazione a Dio. Da ciò deriva che Dio si senta chiamato a rispondere, ad agire in loro favore e a far loro giustizia”.
A conclusione del capitolo Maite Uribe ricorda che nel 2014 “commemoriamo i 25 anni del martirio di Ignacio Ellacuría e dei suoi compagni nel Salvador. Un credente che fece propria la causa dei poveri.”
A mo’ di programma, suggerisce che la preghiera del Padre Nostro è anche un esercizio di discernimento per “desiderare il Regno di Dio” e “riconoscere i semi del Regno”. Ciò comporta atteggiamenti spirituali, azioni e impegni; “compito che impegna la nostra vita”. Mette in risalto che “san Pedro Poveda e Josefa Segovia, con la loro esperienza e la loro dottrina, sono in questo veri maestri.”
La terza parte è “Il perdono profezia del Regno.”
"Il perdono come parte della condizione umana. E cammino per imparare ad accettarsi e ad amarsi, per raggiungere una nuova e profonda unità interiore. Gesù non chiede a Dio di dare agli uomini la forza di perdonare, perché non dubita della loro capacità e della loro forza."
Infine sottolinea che il perdono nel Padre Nostro è una richiesta diversa da ogni altra: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”; per questo “il perdono cristiano può arrivare ad essere uno scandalo”.