Identità da difendere o identità da costruire?



"Difendere la propria identità"... "Rischiare di perdere la propria identità"... "Cercare la propria identità"... sono solo alcune delle espressioni collegate a questa "parola chiave" - IDENTITA' - che tanto spesso, ai giorni nostri, riempie discorsi, articoli, dibattiti e coinvolge il dialogo tra generazioni, tra generi, tra gruppi sociali, etnici, religiosi.


In paesi, come sono oggi quelli europei o comunque facenti parte del cosiddetto "occidente", fondamentalmente "meticci" (rimandiamo per maggiori dettagli alla parola del mese precedente: INTERCULTURALITA'), il problema dell'identità acquista una particolare rilevanza sociale: in Italia, ad esempio, si calcola che il 22% circa delle famiglie sia ormai di origine straniera. Da qui l'esigenza assoluta di porre in dialogo le diverse identità che ci contraddistinguono, se vogliamo che la diversità diventi veramente un’opportunità di arricchimento per tutti.


Ma prima di tutto è necessario definire cosa intendiamo quando parliamo di "identità". A partire dal concetto fondamentale di "identità personale", che può essere in prima battuta definita - in modo solo apparentemente semplicistico - come "ciò che rende una persona ciò che essa è". Ma che cos'è che rende una persona "se stessa"? Una prima risposta, data dalle riflessioni contemporanee delle diverse discipline - filosofia, diritto, psicologia, sociologia - sul problema dell'identità personale, afferma che questa non è data "per natura", ma dipende dal contesto culturale e sociale in cui l'individuo è immerso, e che lo spinge e lo stimola ad un processo di identificazione. E' l'ambiente sociale, quindi, con i modelli o identità collettive che in esso si muovono, a stimolare la costruzione di ogni identità personale.


Ne consegue un'affermazione importante: l'identità personale non è univoca, fissa ed immutabile. Non solo perché può mutare – diacronicamente – nel tempo, a seguito di modifiche nelle scelte fondamentali dell'individuo che possono portarlo ad identificarsi (o a non identificarsi più) in una o più identità collettive; ma anche perché, ad un tempo dato (sincronicamente), si può dare una varietà infinita nelle possibili "combinazioni" dei fattori identitari. Così come non c'è un unico modo di essere uomo o donna, bianco o nero, cristiano o musulmano,  di "destra" o di "sinistra", a maggior ragione l'identità personale viene influenzata dalla diversa presenza (potremmo dire dal diverso “dosaggio”), e anche dal possibile conflitto, nel "corredo" a disposizione dell'individuo, delle diverse identità collettive, alcune delle quali certamente più "esigenti" di altre (di solito, tipicamente, quelle che hanno a che fare con la religione).


Queste considerazioni consentono forse già di porsi qualche domanda: ha davvero senso, parlare - ad esempio - di "identità cristiana" minacciata dagli immigrati (la maggior parte dei quali di religione islamica)? L’uomo moderno deve sentirsi minacciato nella sua “identità di genere”, se la donna lavora, fa carriera, raggiunge posizioni di potere nel campo della politica e dell’economia, assume l’iniziativa nel campo della sessualità? E i figli degli immigrati di colore che nascono in Italia (che a volte assurgono a posizioni di fama nel campo delle istituzioni, dello spettacolo, dello sport) e che assumono - o vorrebbero assumere - la cittadinanza del nostro paese, sono una minaccia ad una presunta "identità nazionale"? (Per fare un esempio molto attuale, nell’imminenza dei “mondiali” di calcio: la nazionale italiana, è “meno italiana” se schiera un giocatore come Balotelli?) Insomma, per una singola persona, esiste uno ed un solo modo di essere "italiano"? O di vivere la propria fede? O la propria “identità di genere”?


Certamente il problema della relazione tra “identità personale” e “identità collettive” che la influenzano e la configurano è fondamentale: se anche a livello giuridico la protezione dell’identità personale ha assunto ormai un livello costituzionale (venendo equiparata ai diritti fondamentali sanciti nella prima parte della nostra “Carta”), si può tranquillamente affermare che anche la tutela delle identità collettive ha una grande rilevanza: lo stesso art. 2 della Costituzione, ad esempio, riferendosi alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, riserva a queste ultime – le “formazioni sociali” – un ruolo essenziale per l’armonico sviluppo della persona. E’ anche vero, però, che questa stessa formulazione lascia intendere – anche se implicitamente – due cose: 1) che le formazioni sociali sono strumentali allo svolgimento della personalità individuale; 2) che l’individuo appartenente ad una “formazione sociale” mantiene, anche all’interno di essa, i propri diritti inviolabili (non ultimo, quello… di uscirne!).


Insomma, se anche la legge e perfino le costituzioni affermano la necessità della protezione del “diritto all’identità personale”, è perché viene ormai riconosciuta l’esigenza del rispetto delle scelte di ogni persona relative al proprio “progetto di vita”, anche – eventualmente – contro quelle norme sociali, esplicite o implicite, formali o informali, che spingono al conformismo e comunque all’adeguamento al modello sociale dominante.


Possiamo dire che tutto ciò contrasta, per una persona di fede, con il “senso di appartenenza” alla propria comunità, con il riconoscersi in una “identità collettiva” che non può che essere quella dominante, rispetto alle altre che concorrono a formare la propria “identità personale”?


San Pedro Poveda, fondatore dell’Istituzione Teresiana, scriveva già nel 1909: “Lascia che gli altri siano come sono, tu sii come Dio vuole che tu sia. Il tuo impegno non sta nello spogliarti del tuo essere né di acquisirne uno nuovo, ma nel perfezionare tutto il tuo essere”. Che in altri termini potremmo “tradurre”: “Rispetta l’identità di ogni persona, ma tu costruisci la tua secondo il progetto che Dio ha su di te!”. Un progetto originale, che non ti impone nessuna identificazione conformistica con un modello culturale o sociale o economico, ma anzi ti chiede di acquisire una tua propria identità, diversa da quella di chiunque altro, che ti permetterà di non rinnegare nulla di ciò che sei nel profondo, ma anzi di portarlo a perfezione.


Ma almeno a partire dal Concilio Vaticano II tutta la Chiesa si è allineata di fatto ad una concezione dell’individuo che lo vede al centro del progetto di Dio, con la sua originalità e la sua identità unica e irripetibile. Fino ad arrivare ad oggi, quando il vescovo di Roma, papa Francesco, scrive nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Chi accompagna  sa riconoscere che la situazione di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall'esterno” (E.G. n. 172).


Sarà forse allora nella celebre esortazione agostiniana: “Ama e fa’ ciò che vuoi!”, la chiave per vivere pienamente e in modo assolutamente originale la propria identità cristiana, riconoscendone l’unico punto fermo e irrinunciabile – al di là dello stato di vita, del modo di celebrare, ma anche al di là dell’appartenenza a una determinata “classe sociale”, della scelta del numero dei figli, delle preferenze sessuali, ecc. – nell’adesione al comandamento dell’Amore, lasciatoci da Gesù?


E tu, come “costruisci” la tua identità?


Roberto

 

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