"Credere bene e tacere non è possibile": il sacerdozio di Pedro Poveda celebrato nel ricordo di don Pino Puglisi

 

 

 

Conferenza PuglisiNel corso del mese di aprile ricorrono quelle che i membri dell'Istituzione Teresiana ricordano come le "feste sacerdotali" del loro Fondatore: il 17 aprile del 1897, infatti, Pedro Poveda fu ordinato sacerdote nella cappella del Vescovado di Guadix; quattro giorni dopo, il 21 aprile, in quella stessa cappella celebrò la sua prima messa.

 

 

Due date importanti, che Poveda stesso celebrò durante tutta la sua vita con più affetto e fervore di quella della sua nascita, chiedendo al Signore di essere "sacerdote sempre, in pensieri, parole ed opere!". Due date, quindi, che tutti i membri dell'Opera da lui fondata ricordano ogni anno, con lo stesso affetto e lo stesso fervore.

 

Quest'anno, però, la comunità romana dell'I.T. ha scelto di celebrarle in un modo diverso e insolito: lasciando idealmente lo spazio - come in un simbolico "passaggio di testimone", un simbolico abbraccio - alla memoria di un altro sacerdote ed educatore (vissuto questo nella seconda metà del Novecento), anch'egli innamorato della propria vocazione e soprattutto innamorato del Signore; ucciso - come Poveda, e come lui perciò considerato martire - per non aver saputo e voluto tacere il suo amore per Gesù; per aver voluto portare il seme del Suo Regno in un contesto dove si voleva che fossero la forza, il terrore, il potere del denaro, ad avere la meglio.

 

Parliamo di don Pino Puglisi, sacerdote siciliano, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993 nel quartiere di Brancaccio, a Palermo, dove era nato nel 1937 e dove dal 1990 era parroco; beatificato nella sua città, il 25 maggio 2013, in una cerimonia svoltasi sul prato del Foro Italico.

 

Nella sua attività pastorale e soprattutto in quella di educatore (lavorò anche come insegnante presso diverse scuole), don Pino (che in realtà amava farsi chiamare "padre" Pino, pur non essendo "religioso", visto l'ambiguo significato che nella sua terra può assumere l'appellativo "don") ebbe modo di incontrare e conoscere anche alcuni membri dell'Istituzione di Palermo e dintorni, insegnanti o comunque impegnati nel mondo della scuola. Per questo, sabato 5 aprile scorso - con qualche giorno di anticipo sulle date delle "feste sacerdotali" di Pedro Poveda , quest'anno coincidenti con le solennità pasquali - i responsabili della comunità romana hanno pensato di invitare - presso la sede di Via Cornelio Celso - due membri della comunità palermitana ad illustrare la figura di padre Puglisi, da altrettanti punti di vista, corrispondenti ai rispettivi interessi e attività professionali.

 

Conferenza PuglisiVita Orlando - licenziata in Teologia spirituale, ex-consigliere comunale presso i comuni di Terrasini (PA) e di Palermo, collaboratrice per tre anni dei progetti sociali condotti dall'I.T. in India - ha tracciato un profilo biografico di don Pino, volto soprattutto ad evidenziare quanto sia riduttivo e quindi sostanzialmente sbagliato definirlo come "prete antimafia". Certamente gli ultimi tre anni della sua vita di uomo e sacerdote, spesi come parroco in una delle zone a più alto rischio mafioso della città di Palermo, lo hanno visto "in prima linea" nel contrasto alle attività di coloro che - approfittando della realtà di miseria e di ignoranza di quel quartiere - puntavano a soggiogare soprattutto i giovani, reclutati per attività criminali di ogni genere, e perfino per omicidi. Ma tutta la sua vita è stata, in realtà, una vita di prete "per", e non certo "anti". Fin da quando - giovane sacerdote appena ordinato - fu inviato ad operare in alcune delle realtà più difficili di Palermo e dintorni: la borgata di Settecannoli, l'Istituto per orfani "Roosevelt", la parrocchia di Godrano, piccolo paese della provincia di Palermo insanguinato da una faida tra famiglie, che don Puglisi - parroco dal 1970 al 1978 - cercò di interrompere offrendo a tutti una singolare testimonianza sacerdotale e conducendo una vita improntata allo spirito delle Beatitudini (Mt 5), in uno stile umile e povero.

 

Accompagnatore del percorso vocazionale di molti giovani; insegnante (non solo di religione, ma anche di matematica); animatore di numerosi movimenti laicali (Azione Cattolica, FUCI, Equipe "Notre Dame"...); accompagnatore di giovani donne e ragazze madri in difficoltà; direttore spirituale presso il seminario diocesano; infine parroco presso la chiesa di San Gaetano del quartiere di Brancaccio: tutti impegni che - come ha ben evidenziato Vita nella sua relazione - don Puglisi visse nella piena consapevolezza che il cristianesimo "non è tanto un messaggio che deve diventare esperienza di vita, quanto esperienza di vita che si fa messaggio". La vita, per don Pino, deve essere vissuta come "luogo di incontro con Dio" - singolare coincidenza, come ha sottolineato la relatrice, con uno degli elementi cardine della spiritualità di Santa Teresa d'Avila! - ma anche, per un credente - come scrisse Giovanni Paolo II - senza escludere dal proprio orizzonte di vita la possibilità concreta del martirio. "Me l'aspettavo", sono state le ultime parole da lui pronunciate, davanti al suo killer che stava per premere il grilletto.... e del resto, non molto tempo prima, aveva detto ad alcuni amici che - preoccupati per lui - lo invitavano a stare attento: "Il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora? Io non posso tacere!". Riecheggiando così le parole di Pietro e Giovanni, che di fronte alle minacce del Sinedrio di Gerusalemme affermano con decisione: "Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato" (Atti 4, 20).

 

Laura Vaccaro - Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Palermo, magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia - ha sviluppato una interessante analisi - dal suo punto di vista di magistrato credente - dei documenti dei processi - già giunti alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione - nei confronti degli assassini di don Puglisi: i mandanti Giuseppe e Filippo Graviano (i "boss" del quartiere di Brancaccio), e gli esecutori Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Salvatore Grigoli (quest'ultimo fu quello che materialmente sparò il colpo mortale).  Dopo aver ricordato il contesto in cui l'omicidio maturò (l'anno prima la mafia aveva organizzato le stragi nelle quali avevano trovato la morte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e a gennaio di quell'anno era stato catturato Totò Riina), Laura ha fatto notare come i giudici che avevano condotto l'istruttoria, hanno di fatto riconosciuto la santità di don Pino, molto tempo prima che questa fosse sancita dalla causa di beatificazione: rendendo chiaro che la presenza e l'azione di Puglisi nella parrocchia e nel quartiere, avevano esattamente lo scopo di manifestare il Regno di Dio sulla terra, predicando contro la mafia, esercitando soprattutto nei confronti dei giovani un fascino che derivava esattamente dalla sua fedeltà al Vangelo e alla sua vocazione di sacerdote di Cristo. Tutto ciò proprio laddove i fratelli Graviano volevano invece instaurare il "loro" regno basato sull'illegalità, sulla corruzione, sul terrore. Impressionanti, da questo punto vista, le parole pronunciate dal Pubblico Ministero durante la sua requisitoria: riferendosi al racconto di Grigoli - che aveva ricordato come lui e coloro che lo avevano accompagnato nella "azione" (Spatuzza, Giacalone, Lo Nigro) si erano impossessati - dopo aver sparato - del borsello di don Pino e del suo modesto contenuto, al solo scopo di simulare una rapina - il giudice conclude: "Singolare assonanza con ciò che vi è scritto nel Vangelo secondo Giovanni dopo la crocifissione: 'Si sono divise tra loro le mie vesti...'; ma questo Spatuzza e i suoi correi non potevano saperlo...!".

 

Laura ha poi dedicato una parte del suo intervento a "smontare" la tesi secondo cui i mafiosi sono anch'essi, a loro modo, "religiosi", poiché la loro presunta "religiosità" si basa solo su atteggiamenti esteriori, ma non ha nulla a che vedere con lo spirito del Vangelo dove Gesù proclama beati i miti, i poveri, i non violenti, i costruttori di pace, i perseguitati, coloro che cercano la giustizia e sono capaci di misericordia. E ha anche stigmatizzato la scelta della Chiesa siciliana, di non costituirsi parte civile nel processo contro gli assassini di don Puglisi: perché questa non sarebbe stata - ha affermato - una scelta di divisione, una scelta "contro" (come fu detto per giustificare la mancata costituzione), ma una scelta "per": "per" la verità, "per" la giustizia, "per" essere a fianco delle vittime della violenza mafiosa, "per" affermare le ragioni del perdono e della misericordia. Insomma, per portare in aula quegli stessi valori per i quali don Pino Puglisi aveva donato la vita.

 

Conferenza PuglisiRichiamandosi al motivo stesso per il quale la giornata è stata organizzata - ricordato già in sede di presentazione dal "moderatore" - ha quindi concluso accostando le figure di don Pino Puglisi - beato - e di San Pedro Poveda - santo - attraverso le parole che quest'ultimo scrisse e pronunciò esplicitamente (ispirandosi a San Paolo, che in 2Cor 4,13 afferma: "Ho creduto, perciò ho parlato!"), e che in qualche modo don Puglisi ha fatto sue: "Credere bene e tacere non è possibile!". Anche a costo della vita.

 

Il pubblico presente - non solo membri dell'Istituzione e amici, ma anche persone esterne particolarmente interessate all'argomento - ha mostrato sincero apprezzamento per la qualità delle relazioni, e anche per l'animazione musicale offerta dalla band degli "Anonimi" - un gruppo formato da giovani del gruppo MIT di Roma - che tra un intervento e l'altro ha eseguito "cover" e brani originali, ispirati ai temi della giustizia e della speranza in un mondo migliore. La loro presenza e l'energia e la passione che hanno sprigionato attraverso la loro musica sono state, anch'esse, un bell'omaggio a due figure di uomini e sacerdoti  che proprio ai giovani e alla loro crescita umana e spirituale hanno dedicato tanta parte della loro vita.

 

I.T.